Terremoto in Turchia: anche l’archeologia trema

7 febbraio 2023


A cura di Giulia Pruneti 

Quando nel dicembre del 2021 nel sito di Arslantepe, un tell immerso nel verde della piana di Malatya, nella Turchia orientale, ho conosciuto Marcella Frangipane, notando come si relazionava con i locali le ho chiesto come aveva fatto a imparare così bene il turco. «Dagli  operai che scavano da trent’anni con me», ha risposto serafica.

La professore Marcella Frangipane davanti alla casa della missione della Sapienza di Roma ad Arslantepe con uno dei suoi collaboratori locali 

Oggi quella zona è una delle più duramente colpite dal terremoto. Ma sono stati quegli stessi operai, molti dei quali rimasti senza casa, ad arrampicarsi fin sulla Collina dei Leoni (Arsalentepe il nome in turco) e a chiamare l’archeologa della Sapienza di Roma per dirle: «Marcella, il nostro sito è salvo».

L’ingresso del sito di Arslantepe con le colline prospicienti tappezzate di nuovissime costruzioni-alveare 

Dichiarato Patrimonio mondiale dell’Unesco nell’estate del 2021 «perché quel rilievo di terra ha conservato la memoria di una lunga vicenda storica e della nascita dello Stato di recente» il sito è interamente costruito in mattoni crudi, con cui sono stati costruiti edifici e interi abitati, distrutti e ricostruiti uno sull’altro nel corso dei millenni. Per questo – viene da pensare – oggi ha resistito. Non così bene è andata a quelli tirati sù in cemento armato e sventrati  ora dalla furia di un sisma comunque eccezionale, dalla portata “atomica”.

Un sito eccezionale ma la celebrazione è rimandata 

Ad Arslantepe ha lavorato per sessant’anni un’équipe dell’Università di Roma La Sapienza, con un progetto di scavi e ricerche a lungo termine che ha consentito di ricostruire, anno dopo anno, i “frammenti” di un passato intrappolato in quelle rovine di terra, rivelando vicende e processi storici di un lunghissimo arco temporale, dal V fino I millennio a.C. Le celebrazioni delle scoperte erano previste in questi giorni, ma sono state prontamente cancellate: «Non ce la sentivano e sarebbe stato oltremodo irrispettoso», ha commentato la stessa professoressa Frangipane, che abbiamo raggiunto telefonicamente.

Professoressa che notizie arrivano dall’area?
Abbiamo avuto tanta paura per la gente ovviamente e anche per questo sito millenario. Che potesse essere danneggiato irrimediabilmente, invece per ora a parte qualche danno e qualche crepa sembra aver resistito. La copertura che avevamo pensato per proteggerlo da eventi calamitosi ha retto. I miei operai sono per strada al gelo. Le scosse continuano a terrorizzarli, ma nonostante questo hanno sentito il bisogno di chiamarmi e informarmi su quello che sta accadendo nel sito archeologico. Che sentono anche loro.

E cioè qual è la situazione?
Le case in mattoni crudi del villaggio hanno retto molto più di quelle in cemento di città. Il mattone crudo è un materiale elastico e questo è ciò che ha salvato anche il nostro sito perché le strutture monumentali sono di mattoni crudi. Se hanno resistito millenni ci sarà un perché. Hanno una rispondenza positiva anche agli stress ambientali. Ovviamente non si può generalizzare perché questa è stata una calamità anomala e di dimensioni pazzesche. Inimmaginabili.

Questa corsa al cemento degli ultimi anni invece ha cambiato il paesaggio…
La funzione che l’archeologia può avere nel presente è quello di mostrare come certe abitudini e tradizioni possano insegnarci ancora qualcosa. Fino a pochi decenni fa si costruivano edifici di massimo due pani e in mattoni crudi, seguendo una tradizione millenaria. Anche la casa della nostra missione, come una sorta di esempio, è in mattoni crudi e infatti ha retto. Gli operai ci dicevano, ma voi che avete la possibilità perché non la costruite in cemento? La conta dei danni in un’area tra Turchia e Siria così ricca di testimonianze archeologiche è ancora impossibile farla.
Ora bisogna salvare le vite prima di tutto….