Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 218 – marzo/aprile 2023

di Piero Pruneti

In questo numero Giorgio Manzi, autorevole paleoantropologo oltre che persona sensibile al rapporto fra ricerca scientifica e società civile – secondo l’assioma da noi sempre sostenuto che le scoperte e gli studi sono di proprietà pubblica –, torna a parlare del Neanderthal di Altamura a trent’anni da quell’incredibile rinvenimento. Di cui, dopo un lontano articolo pubblicato nel 1996, ci eravamo quasi dimenticati. A dire la verità tutti se n’erano un po’ dimenticati, magari rassicurati dal fatto che quei resti incastonati nel calcare della grotta di Lamalunga possano rimanere lì dove sono stati per migliaia di anni.

Ma trascurando un fatto, che stiamo parlando del solo corpo di neandertaliano che in tutto il pianeta ci è giunto pressoché completo con il suo bagaglio prezioso e unico di informazioni sull’evoluzione umana. L’articolo di Manzi ci scuote mentre stiamo sognando: vogliamo conservare quel cranio e quelle ossa come uno splendido feticcio preistorico nel “sancta sanctorum” della grotta, sontuosamente decorati da spettacolari formazioni coralloidi, brillanti alla luce delle torce? Non è compito delle reliquie rassicurarci con la loro semplice e immutabile (intangibile) presenza? L’alternativa – interrompendo il sogno – è smontare tutto.

Proprio così, si tratta concretamente di questo: rimuovere quello scheletro, con tutte le precauzioni offerte dalla tecnologia di cui disponiamo, per ricavarne poi in laboratorio il bagaglio di informazioni che ci ha conservato. Insomma, da reperto muto trasformarlo in parlante… Dopodiché sarà possibile esporlo in uno straordinario museo dedicato, questo sì accessibile a tutti e non come ora, spettacolo riservato per la sola gioia di qualche archeospeleologo. Un’ultima considerazione di Manzi: una grotta non costituisce un assetto stabile e definitivo del sottosuolo. Al contrario è un ambiente vivo e in continua trasformazione. Non è pensabile di abbandonare il nostro uomo all’incerto destino di un cunicolo carsico.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”