Incontro con Alberto Angela La voce della storia

Archeologia Viva n. 146 – marzo/aprile 2011
pp. 72-74

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«Il mio lavoro mi porta a entrare dentro tantissime tematiche: alcune mi afferrano più di altre e sento il bisogno non solo di approfondirle ma anche di comunicarle»

«La divulgazione seria è una fedele alleata della ricerca scientifica»

«Ho iniziato a parlare di Roma antica nelle mie trasmissioni ed è stato subito amore»

«L’impero romano ci è familiare: è come esplorare un baule dei nonni trovato in soffitta»

«Questa volta potrebbe essere l’uomo l’asteroide che colpisce il pianeta»

Un volto noto, ormai come quello di Piero: la premiata Ditta Angela della divulgazione scientifica in Italia. “Superquark”, “Quark speciale”, “Passaggio a Nord Ovest”, “Ulisse, il piacere della scoperta”…

Ovvero come aggiornare sullo scibile, senza raccontare balle d’artificio, milioni di telespettatori in fase di relax serale e tenerli fino alla sigla di chiusura.

Incontriamo Alberto Angela presso la sede dell’Agenzia MN, a Roma. Arriva puntualissimo e premuroso come un vecchio amico. In realtà, ci siamo conosciuti anni or sono a Cerveteri per la consegna di un premio. Sapevamo già che questo ragazzo, ora di quasi cinquant’anni, non è nato presentatore, da cotanto padre, ma paleoantropologo, cioè studioso della preistoria dell’uomo, un brillante ricercatore impegnato in segmenti lontanissimi delle nostre origini.

Ancora altamente consigliabile La straordinaria storia dell’Uomo (Mondadori 1989) scritta insieme a Piero e presentata in un convegno di preistoria a Forlì davanti a gente come Johanson e Peretto. Poi l’occasione televisiva, senza dimenticare mai il primo grande amore e sperando, un giorno chissà, di tornare a Laetoli con la paletta al posto della telecamera.

Da poco è uscito il suo ultimo libro, Impero (Mondadori 2010), sempre dedicato al mondo romano, dopo il precedente Una giornata nell’antica Roma (Mondadori 2007), un bestseller da quattrocentomila copie tradotto anche in coreano. Un preistorico folgorato sulla via di… Roma? «Solo affascinato. Il mio lavoro – precisa Alberto Angela – mi porta a entrare in tantissime tematiche. Alcune mi afferrano più di altre e sento il bisogno, non solo di approfondirle, ma anche di comunicarle. Mi sembra inutile tenere tutto dentro di me. Ora è il momento della romanità, rivissuta attraverso il messaggio diretto dell’archeologia».

Nelle tue trasmissioni televisive come nei libri il passato dell’Uomo, dalle origini fino ai tempi nostri, è un argomento protagonista che tradisce il tuo interesse di fondo…
In realtà io sono un paleoantropologo e ho avuto l’opportunità di partecipare a scavi preistorici di spedizioni internazionali. Ho scavato due anni in Zaire al confine con l’Uganda. Poi, per conto della Fondazione Ligabue, tre anni in Tanzania con Donald Johanson, lo scopritore di Lucy, con il quale abbiamo riportato in luce un ominide di due milioni di anni.
Successivamente, una spedizione in Oman con il Museo di scienze naturali di Parigi alla ricerca di lontanissimi antenati della nostra specie risalenti a ben trenta milioni di anni fa. Un’altra con Tim White in Etiopia, sempre alla ricerca delle nostre origini più antiche. In Mongolia abbiamo, invece, rinvenuto le tracce di dinosauri e mammiferi primitivi.

Quale è stata l’esperienza di scavo che ti ha dato maggiori soddisfazioni?
Sicuramente quella nella famosa Gola di Olduvai, in Tanzania. Questo canyon è un libro aperto sul nostro passato con i principali capitoli messi in sequenza. Basta camminare, per sfogliare le sue pagine: ossa fossilizzate, choppers, asce a mano, da due milioni di anni sono lì davanti a noi che aspettano di essere studiati… Ma la missione più elettrizzante è stata in Etiopia e aveva come obiettivo di esplorare un “bivio” fondamentale della nostra evoluzione ovvero quel tipo di ominide che si avvicina al famoso “anello mancante”.

Ci puoi spiegare il concetto di “anello mancante”?
Premetto che l'”anello mancante” sarà molto difficile da trovare, perché si tratta di una piccola popolazione, vissuta in un periodo brevissimo, in un ambiente di foresta dove la fossilizzazione è difficile. Ma noi tutti speriamo che qualcuno compia la grande scoperta. L'”anello mancante” nella nostra storia evolutiva è quella forma di antenato che ha dato origine da una parte alla linea che ha portato all’uomo e, dall’altra, ai nostri “cugini” scimpanzé. Quindi una forma con dei caratteri comuni ai due.

È vissuto sicuramente in foresta, probabilmente in piccoli gruppi, con abitudini miste: viveva sugli alberi ma era anche capace di camminare su due piedi, bipede. Tutto è avvenuto in un momento particolare, cioè quando c’è stata una crisi climatica che ha separato in due l’Africa. Da una parte è rimasta la foresta, dall’altra si è formata la savana. Questi gruppi sono sopravvissuti perché erano già “pre-adattati” a camminare su due gambe in questi ambienti aperti. E le braccia libere diventarono preziosissime per portare piccoli, cibo al gruppo o usare bastoni per scavare o difendersi. Da lì parte tutta la linea di antenati che conosciamo sui libri, con ogni volta dei “cespugli” di forme. Insieme a un’altra cosa…

Che cosa?
Mi domando spesso cosa ha reso speciale l’uomo. Potremmo rispondere: la donna. Ovvero quest’ultima è l’unico animale che non ha un estro visibile, cioè che non fa capire al maschio quando è fertile e il maschio per questo motivo dovrà sempre starle vicino se vuol essere sicuro di essere il padre dei suoi figli. Si forma così un rapporto di coppia dalle conseguenze fondamentali: non si vede più un “branco” con un maschio dominante che ha il suo harem, ma una tribù di coppie che collaborano. E ciò, nella savana, dà maggiori probabilità di sopravvivenza al gruppo. Semplificando, potremmo dire che quando si creano questi legami il maschio garantisce alla femmina il cibo e la femmina, avendo assicurato il sostentamento, riesce a fare più figli che ricevono un insegnamento più lungo, quindi più esperienza per sopravvivere, ma anche maggiore socialità. La nascita della coppia segna di per sé l’alba di un comportamento più umano.

Con il tuo libro “Una giornata nell’antica Roma”, uscito quattro anni fa e poi con Impero, da poco comparso in libreria, sei passato dalla preistoria a vicende molto più recenti. Da cosa deriva questo cambiamento?
Ho iniziato a parlare di Roma antica nelle mie trasmissioni ed è stato subito amore. Avendo un’esperienza di ricercatore, riuscivo a capire le difficoltà degli archeologi, la difficile sfida dell’interpretazione dei dati. Ero come un investigatore che va nel luogo del delitto su cui indaga un collega, condividendone le interpretazioni e le difficoltà.

Parlando o intervistando, emergevano sempre tante storie o dati che gli archeologi conoscono bene ma che non arrivano alla gente comune. E mi sono detto: perché non divulgarle? E così ho fatto. La divulgazione è elastica, dinamica, si riesce a spiegare la Storia in maniera diretta e appassionata. Ma è essenziale il rigore. In questo, il mio passato nella ricerca mi aiuta molto.

Il grande successo, non solo in Italia, dei tuoi ultimi libri è anche una conferma della grande popolarità della storia di Roma. Da cosa deriva questo fascino universale?
La risposta più immediata è che la civiltà romana piace perché si presenta “vincente” nella Storia, con le sue legioni, le sue opere ingegneristiche, con le sue leggi, i suoi straordinari affreschi. E invece no.

Tante altre civiltà hanno avuto successo e ci hanno e ci hanno lasciato opere eccezionali: basta pensare a quelle dell’Egeo, alla Grecia classica o agli antichi Egizi. Ma non hanno lo stesso “fascino” di quella romana. La civiltà romana piace perché ha qualcosa in più: un sistema di vita incredibilmente simile al nostro. Arrivando in un antico sito romano, come Pompei, ti senti “a casa”, persino la configurazione delle abitazioni ti è familiare… Istintivamente ti accorgi che sei di fronte all’origine del tuo modo di vivere. Ritrovi te stesso, le radici, il tuo modo di pensare. È come aprire il baule della nonna e vedere le foto di famiglia: capisci chi sei e da dove vieni.

Questo è il vero segreto che rende la civiltà romana così amata nel mondo intero. e spiega anche perché milioni di turisti varcano gli oceani attratti dalle rovine dell’antica Roma. In effetti, il sistema di vita occidentale attuale deriva direttamente dalla lunga esperienza storica dell’Urbe. E non c’è da stupirci, perché quando una comunità umana raggiunge un grado di complessità così elevato, automaticamente ha problemi comuni. Nel mio libro Impero emerge di continuo questo parallelo, questa incredibile somiglianza tra le due epoche: Roma è stata la prima grande globalizzazione della Storia, noi la seconda. I Romani non erano diversi: eravamo “noi, allora”…

I Romani si sono ingegnati nel trovare buone soluzioni a problemi diversi…
In realtà, rispetto ad altre civiltà, non hanno inventato molto. Le armi, gli elmi e le armature erano quelle dei Galli e di altre popolazioni conquistate, l’idraulica era spesso mutuata dagli Etruschi, le divinità erano greche, ma anche egizie, asiatiche… Hanno saputo cogliere le invenzioni migliori degli altri, modificarle e organizzarle come soluzioni: erano le soluzioni di cui l’uomo romano aveva bisogno. Erano degli straordinari organizzatori e avevano un enorme senso pratico.

Come tutti, rimango stupefatto nel vedere monumenti ancora in piedi e ben solidi dopo duemila anni. E rimango ancora più sorpreso nello scoprire la società che crearono, dove seppero evitare molti dei problemi più scottanti di oggi. Nella loro società non esisteva il razzismo, c’era una diffusa tolleranza religiosa e una forte capacità d’integrazione.

Un esempio di questa capacità?
Settimio Severo, un nordafricano, espressione fisica e culturale di popoli che prima erano nemici e poi divennero cittadini di Roma. Settimio Severo parlava male il latino ed era anche molto scuro di carnagione, ma divenne lo stesso imperatore, un vero “Obama” di allora. Questo a Roma non era un problema. L’impero inglese o quello francese avrebbero mai permesso a un kenyota o a un polinesiano di diventare sovrani nel loro paese? In effetti l’Impero unì per la prima e ultima volta l’Europa al Mediterraneo e fu una grande società multietnica; ma non multiculturale, questo lo sottolineo: bisognava rispettare le regole di Roma…

Per caso non stai idealizzando questi Romani?
Proprio no: Roma aveva molti lati simili ai nostri, ma tanti altri oscuri, inaccettabili oggi. C’erano schiavitù e pedofilia. Usavano le legioni come delle bombe atomiche, facevano massacri, genocidi e pulizie etniche. Erano estremamente crudeli. Ma erano in perfetta sintonia con l’epoca e l’antichità in generale. I loro “vicini” Celti inchiodavano le teste degli sconfitti nelle architravi, i cinesi salivano di grado nell’esercito a seconda del numero di teste dei nemici tagliate (le orecchie facevano fede), nei mercati aztechi si vendevano schiavi per sacrifici umani. Ma nei Romani troviamo anche una profonda forza costruttiva. Tant’è che i “barbari” premono alle frontiere per poter far parte dell’Impero, non per distruggerlo. È il fascino di uno stile di vita e di un sistema unico al mondo.

C’è una città, Thamugadi, in Nord Africa, nel territorio dell’attuale Algeria, a diversi giorni di marcia dalla costa: gli archeologi si sono chiesti perché Traiano l’avesse fatta costruire così isolata nel deserto e così bella, con un teatro abbondantemente sovradimensionato rispetto ai suoi abitanti. Ebbene lo scopo di Traiano era “conquistare” le popolazioni circostanti, semplicemente affascinandole con lo stile di vita romano, con una vetrina luccicante.

Sembra di capire che gli aspetti quotidiani della romanità ti interessino più delle vicende politiche…
Le due cose sono molto legate. La grande storia è fatta da tante piccole storie, quelle della gente comune. Ma è attraverso le piccole storie quotidiane che si riescono a capire le grandi vicende. E soprattutto, per l’impero romano, la vita quotidiana è una miniera di informazioni sulla mentalità dell’uomo di allora, sul perché sono state fatte delle scelte che hanno cambiato la storia.

I tuoi libri su Roma, scritti da un preistorico e non da un romanista, come sono considerati da mondo accademico?
Mi sono attenuto alla prassi che seguo nei miei programmi televisivi: dalla parte degli accademici per i contenuti, dalla parte della gente comune e degli appassionati per il linguaggio… I miei libri e i miei programmi partono da quello che i ricercatori hanno scoperto e scritto nelle loro pubblicazioni, o che mi hanno spiegato sugli stessi siti archeologici.

Durante la stesura ci sono continui contatti per ulteriori approfondimenti e, una volta finita l’opera, i capitoli vengono nuovamente ricontrollati da un pool di studiosi. È un rigido sistema di controllo al quale sono molto attento, avendo io stesso una formazione da ricercatore: ne esce un prodotto in cui lo stesso mondo accademico si riconosce, ma alla portata di tutti. In effetti, lo stile è molto importante: Impero è un libro di storia antica con uno stile da romanzo.

Se è come un romanzo, qual è il filo conduttore dell’opera?
Una moneta. Lo dice lo stesso sottotitolo Viaggio nell’impero di Roma seguendo una moneta. Si segue una moneta al tempo di Traiano (98-117 d.C.) che, passando di mano in mano, ci fa compiere un grande viaggio nell’Impero al culmine della sua espansione: dal mercante al legionario, dalla prostituta allo schiavo, da un marinaio all’imperatore stesso… Si passa dalle miniere d’oro di Spagna alle frontiere sul Reno, da Parigi a Londra, all’epoca poco più grandi di un paese. Cimiteri, campi di combattimento, teme, banchetti diventano gli scenari per approfondire ogni volta i temi della vita quotidiana, della diplomazia imperiale, dell’economia, dell’amore…
Ma soprattutto la moneta è la chiave che ti dà accesso alla vita della gente. Si entra in un mondo globale simile al nostro. Dove la legge è più uguale per alcuni e meno per altri… Ci tengo a dire che tutte le persone che s’impossesseranno a turno della moneta sono realmente vissute in quei luoghi e in quell’epoca.

Qual è un aspetto della vita quotidiana dei romani che ti ha particolarmente sorpreso?
Non circolavano armi. Ho sempre pensato che Roma fosse una città pericolosa come le nostre megalopoli. Magari, specialmente di notte, lo era anche. Però dopo le Guerre Civili era vietato andare in giro armati. Se subivi un torto andavi subito dal giudice, non tiravi fuori una lama affilata come nel Medioevo o nel Rinascimento. Un riscontro di questo aspetto sociale è che a Ercolano, su trecento vittime trovate tutte insieme sotto le arcate del porto dove la gente aveva trovato rifugio, una sola porta un gladio, ed è un legionario, quindi un “autorizzato”.

Come ho già detto, sono mondi, il nostro e quello romano, che si assomigliano, proprio in quello che ogni giorno ci tocca da vicino. Sulle strade dell’impero c’erano autogrill e motel, si chiamavano stationes e mansiones. La Roma di duemila anni fa e quella odierna hanno in comune il traffico, i prezzi alle stelle degli appartamenti, abusi e speculazioni edilizie, bancarelle da ogni parte. C’era un inquinamento acustico tremendo e anche dell’aria, perché le terme consumavano quantità industriali di carbone, con fuliggine nell’aria e depauperizzazione dei boschi in ampie zone.

L’esplosione demografica, l’inquinamento, l’esaurimento delle materie prime… Si ha la sensazione di una battaglia finale tra l’uomo e l’ambiente. Sarà questa la vera fine del mondo?
Non credo alla fine del mondo, la vita sulla Terra troverà sempre un modo per esistere. I dinosauri insegnano: intere schiere di animali e piante sono scomparsi nel corso delle grandi estinzioni del pianeta. Ma la vita è comunque andata avanti, con nuovi scenari. Non credo neanche alla fine dell’uomo: come i batteri è troppo “adattabile” e riesce sempre a resistere. Ma c’è qualcosa che non si dice mai abbastanza: qualunque modifica sull’ambiente ha ripercussioni, oltre che sulla natura, innanzitutto sull’uomo, come un boomerang.
Questa volta proprio l’uomo potrebbe essere l’asteroide che colpisce il pianeta. Anche se andiamo sulla Luna o abbiamo i computers, dipendiamo sempre dal clima per avere la farina e fare il pane. Come i Romani…