Con i lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 220 – luglio/agosto 2023

di Piero Pruneti

L’articolo con cui si apre questo numero, sugli scavi che documentano a Vieste un santuario di Venere “salvatrice degli uomini”, condotti sulla minuscola isola antistante la “perla del Gargano”, ci mostra lo scenario di un Mediterraneo dai contorni mitici e al tempo stesso molto reale sotto il profilo storico, dove per secoli furono protagonisti fragili imbarcazioni e nocchieri devoti.

Ogni viaggio per mare prevedeva rischi enormi, oggi quasi completamente rimossi dall’immaginario collettivo, a meno che tragedie come quella della “Concordia” all’isola del Giglio non ci costringano a rivedere la banalità con cui siamo soliti affrontare il nostro rapporto con l’elemento acquatico. Il mare, elemento infido per eccellenza – e per questo da sempre metafora dell’amore –, si popolava di mostri e forze ostili. La certezza di tornare a casa non c’era mai e il Mediterraneo disseminato di relitti navali di ogni epoca dimostra quanto i timori fossero ben fondati. Così c’era bisogno di tanta “protezione”, di invocazioni frequenti alle divinità che in diversi modi potevano dare una mano (o toglierla) durante il viaggio. Il buon Ulisse ne sapeva qualcosa…

Necessariamente le coste si popolavano di santuari e spazi di culto in una osmosi continua di sapienza navale e assistenza divina. Gli scavi sull’isola di Sant’Eufemia a Vieste – che insieme all’epifania dell’amatissima Afrodite/Venere offriva anche il vantaggio non secondario di potersi rifornire di acqua – ci dicono quanto la vista all’orizzonte di questo scoglio sulla punta del Gargano rincuorasse i piloti dei legni in rotta lungo l’Adriatico. Poi passarono i cristiani e anche loro lasciarono testimonianze di fede sovrapponendole, come per abitudine facevano, a quelle delle fedi pagane.

Infine sono stati i guardiani del faro ad autoimmortalarsi sulle pareti dell’antico luogo di culto ipogeico, nella solitudine di poco più di un ettaro di roccia fra le urla del mare e i garriti dei gabbiani, rimasti oggi i soli abitanti del luogo.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”