Archeologia Viva n. 145 – gennaio/febbraio 2011
pp. 62-67
di Maria Ausilia Fadda
Fu forse una crisi climatica con drastica riduzione delle precipitazioni a determinare presso i nuragici la nascita di un fervente culto delle acque che si espresse in un gran numero di monumenti dedicati all’acqua
Agli inizi del Bronzo finale (1200 a.C.) si diffonde in Sardegna un’architettura funzionale alla captazione e alla raccolta delle acque sorgive, come conseguenza – è plausibile ritenere – di cambiamenti climatici.
Questi spinsero i costruttori nuragici a elaborare arditi progetti, soprattutto nelle zone interne dell’isola, talvolta modificando con singolari soluzioni precedenti strutture d’uso “civile” per l’approvvigionamento idrico.
La capillare diffusione dell’architettura delle fonti e dei pozzi sacri può essere giustificata proprio dall’urgente necessità – e dalla volontà comune – di risolvere una grave carenza d’acqua, tale da minacciare la stessa economia dell’isola basata in prevalenza sull’agricoltura.
Risulta ancora difficile da interpretare la contemporanea costruzione dei templi cosiddetti “a megaron”, all’interno dei quali si praticavano gli stessi riti di offerta documentati nei pozzi sacri.
Il moltiplicarsi dei templi “a megaron” risulta ancora più problematico da spiegare quando essi si trovano all’interno di contesti abitativi e in prossimità di pozzi sacri.
Questi templi potrebbero essere stati dedicati a divinità diverse, con rare rappresentazioni ispirate dal mondo animale, oppure dedicati a una propria divinità dagli abitanti di “quartieri” diversi dello stesso insediamento.
L’argomento è stato esaminato fin dagli inizi del Novecento, soprattutto per verificare le eventuali origini e le influenze allogene di questa tipologia architettonica, ma senza entrare nel merito delle differenti funzioni degli edifici e del loro inquadramento cronologico, anche a causa della scarsità numerica dei templi “a megaron” censiti a tutt’oggi in tutta la Sardegna e dell’esiguo numero di quelli esplorati. […]