Archeologia Viva n. 223 – gennaio/febbraio 2024
pp. 50-60
di Sabina Malgora; schede di Stefania Casini
Una mummia con sarcofago arrivata a Bergamo alla fine dell’Ottocento e rimasta “anonima” per oltre due secoli ha riacquistato la propria identità all’interno della nuova sezione egizia del Museo Archeologico al termine di un impegnativo percorso di studio e restauro
Furono acquistati nel 1885 dal console italiano di stanza ad Alessandria d’Egitto, il bergamasco Giovanni Venanzi, con l’intento di farne dono alla sua città, dopo essere stati esaminati dall’egittologo Ernesto Schiaparelli (1856-1928), nella terra del Nilo per compiere scavi e al tempo direttore del Museo Egizio di Firenze (in seguito del Museo Egizio di Torino).
La mummia di Ankhekhonsu e il suo sarcofago sono ora protagonisti della sezione egizia del Civico Museo Archeologico di Bergamo. Il sarcofago appartiene ai cosiddetti “sarcofagi gialli”, databili al Terzo Periodo Intermedio, ed è maschile, caratteristica confermata da molti dettagli, tra cui la maschera e le numerose vignette dipinte all’esterno ritraenti un sacerdote accompagnato da alcune divinità.
Le iscrizioni presenti in vari punti del manufatto riferiscono per cinque volte che il proprietario è AnkheKhonsu (che significa ‘È vivo (il dio) Khonsu’), sacerdote-wab del re degli dèi Amon-Ra nonché scriba del magazzino delle offerte divine alla casa di Amon, ossia del tempio di Amon-Ra a Karnak, oggi Luxor. Sul lato destro del sarcofago compare una donna, Henut-neferet, probabilmente la moglie, amministratrice della casa e anche lei sacerdotessa di Amon-Ra (nb.t pr Smayt n Imn-Ra).