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Homo sapiens fece rotta verso nord

1 febbraio 2024


Nel sito della grotta di Ilsenhöhle a Ranis, in Germania, sono stati trovati i più antichi fossili di Homo sapiens in Europa centrale e nord-occidentale. Una scoperta eccezionale che dimostra come i nostri antenati abbiano raggiunto queste gelide latitudini diversi millenni prima della scomparsa dei Neanderthal. Datati direttamente a circa 45.000 anni fa, questi reperti sono associati a punte di selce allungate sagomate su entrambi i lati (conosciute come punte fogliate bifacciali), caratteristiche del complesso tecnologico Lincombian-Ranisian-Jerzmanowician (LRJ).

Utensili in pietra provenienti dalla LRJ di Ranis. 1) Punta a lama bifacciale parziale caratteristica dell’LRJ; 2) A Ranis l’LRJ contiene anche punte a foglia bifacciale finemente realizzate. © Josephine Schubert, Museum Burg Ranis, Licenza: CC-BY-ND 4.0

Arrivo (anticipato) di Homo sapiens

Questo tecnocomplesso archeologico è temporalmente situato tra il Paleolitico Medio associato ai Neanderthal e il Paleolitico Superiore realizzato dagli Homo sapiens. Gli strumenti in pietra LRJ ritrovati a Ranis rinvenuti anche in altre località in Europa, dalla Moravia e dalla Polonia orientale alle Isole Britanniche, rivelano un arrivo anticipato di gruppi di Homo sapiens nel nord-ovest dell’Europa avvenuto diversi millenni prima della scomparsa dei Neanderthal nel sud-ovest europeo.

Il sito della grotta di Ilsenhöhle sotto il castello di Ranis. © Tim Schüler TLDA, Licenza: CC-BY-ND 4.0.

I due studi che presentano i risultati di questa importante ricerca sono stati guidati dai ricercatori dell’Istituto Max Planck per l’Antropologia Evolutiva, con la presenza della professoressa Sahra Talamo dell’Università di Bologna, unica autrice italiana e direttrice del laboratorio di radiocarbonio BRAVHO (Bologna Radiocarbon Laboratory Devoted to Human Evolution).

Nuove ricerche su rinvenimenti degli anni Trenta

I ricercatori hanno impiegato la paleoproteomica per l’identificazione tassonomica di resti ossei morfologicamente non riconoscibili, recuperati durante gli scavi. La paleoproteomica permette infatti agli scienziati di recuperare le prove molecolari per ricostruire con maggiore precisione l’evoluzione umana a partire da periodi più antichi.

L’estrazione proteomica da frammenti ossei archeologici viene eseguita in un ambiente sterilizzato per contaminazioni. © Dorothea Mylopotamitaki, Licenza: CC-BY-ND 4.0.

Le indagini si sono concentrata su frammenti ossei provenienti dalla collezione storica di Ranis, risalente agli scavi condotti tra il 1932 e il 1938, conservati presso l’Ufficio statale per la gestione del patrimonio e l’archeologia della Sassonia-Anhalt in Germania. Queste analisi hanno portato alla luce diversi nuovi resti umani.

 Notizie dal DNA

Una volta individuati i 13 resti di ossa umane, provenienti sia dagli scavi precedenti che da quelli più recenti, è stato eseguito l’estrazione e l’analisi del DNA. Elena Zavala, del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, dichiara: «Abbiamo confermato che i frammenti scheletrici appartenevano ad Homo sapiens.

Lo scavo degli strati LRJ a 8 metri di profondità a Ranis ha rappresentato una sfida logistica e ha richiesto un’elaborata impalcatura per sostenere la trincea. © Marcel Weiss, Licenza: CC-BY-ND 4.0.

Di particolare interesse è il fatto che diversi frammenti condividevano le medesime sequenze di DNA mitocondriale, inclusi quelli provenienti da differenti campagne di scavo. Ciò suggerisce che tali frammenti appartenevano allo stesso individuo o erano correlati come parenti materni, collegando così questi recenti ritrovamenti a quelli avvenuti decenni fa».

 Sapiens e Neanderthal insieme già 47.500 anni fa

 La datazione al radiocarbonio è stata impiegata per tracciare il periodo in cui gli esseri umani hanno occupato la grotta.Afferma Helen Fewlass del Francis Crick Institute di Londra: «Abbiamo ottenuto un notevole accordo tra le date al radiocarbonio delle ossa di Homo sapiens provenienti dalle due collezioni archeologiche e le ossa di animali con tracce di macellazioni dai livelli LRJ del nuovo scavo, stabilendo così un legame molto forte tra i resti umani e il complesso LRJ. I risultati suggeriscono che l’Homo sapiens occupava sporadicamente il sito già da 47.500 anni fa»

Frammento di osso umano proveniente dai nuovi scavi di Ranis. © Tim Schüler TLDA, Licenza: CC-BY-ND

 Homo sapiens capace di adattarsi a climi rigidissimi  

Il secondo studio, pubblicato su Nature Ecology & Evolution, svela la sinergia tra le cronologie ottenute dalle datazioni al radiocarbonio e le analisi degli isotopi stabili su denti e ossa di animali, fornendo preziose informazioni sulle condizioni climatiche e ambientali che i gruppi pionieristici di Homo sapiens hanno affrontato nei dintorni di Ranis.

Dopo la preparazione e la purificazione chimica, piccolissimi campioni di denti di animali vengono caricati in uno spettrometro di massa per ottenere tracce di isotopi stabili dell’ossigeno, che forniscono informazioni sulle condizioni climatiche del passato. © Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, Licenza: CC-BY-ND
Il team ha combinato informazioni da una vasta gamma di diversi rapporti isotopici stabili, dimostrando che durante il periodo LRJ, prevaleva un clima continentale estremamente freddo e paesaggi aperti simili a quelli attuali in Siberia o nella Scandinavia settentrionale.

Nuovo scenario possibile

Afferma Sarah Pederzani dell’Università di La Laguna e del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology: «Abbiamo la conferma che anche questi primi gruppi di Homo sapiens, in espansione attraverso l’Eurasia, avevano già una notevole capacità di adattarsi a condizioni climatiche avverse. Fino a poco tempo fa, si riteneva che la resistenza alle condizioni climatiche fredde si manifestasse solo diversi millenni dopo.  Forse le steppe fredde con mandrie più grandi di animali preda erano ambienti più attraenti per questi gruppi umani di quanto si pensasse in precedenza».


In apertura. L’analisi di oltre mille ossa di animali provenienti da Ranis ha dimostrato che i primi Homo sapiens lavoravano le carcasse di cervi ma anche di carnivori, compreso il lupo. © Geoff M. Smith, Licenza: CC-BY-ND 4.0