Con i lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 225 – maggio/giugno 2024

di Piero Pruneti

Pompei è ancora protagonista. Questa volta con il messaggio delle immagini scattate negli interni delle sue case da uno dei migliori fotografi del nostro tempo. Diciamo subito che si tratta della Pompei dei privilegiati, delle classi ricche e colte, capaci di coinvolgere le maestranze più ricercate per progettare i propri spazi domestici, gli stessi che Luigi Spina ha documentato mettendone in evidenza i colori e le architetture.

Sono foto che non hanno bisogno di commenti per farci capire cos’era la vita delle “upper classes” in tutto l’impero romano, esteso al tempo dell’eruzione dalla Britannia al Sahara, dall’Atlantico al Danubio e all’Eufrate.

Le splendide immagini che Spina ci propone, rese possibili dall’esito conservativo della stessa tragedia vesuviana, possono farci prendere dal fascino di tanto splendore privato, in corrispondenza perfetta di quello pubblico espresso nei fori, nei templi, nelle basiliche di tante città coperte di marmi e, infine, in una gestione dello Stato che non trova confronti nella storia.

E tuttavia, per contrappasso, sono scatti che fanno riflettere. Perché sappiamo che dietro a quella esibizione di raffinatezza e di lusso c’era il risvolto tragico di un sistema economico impostato sul lavoro di milioni di schiavi. Non certo l’unico nell’antichità, di sicuro il più perfezionato.

Un sistema che del resto sopravvive tutt’oggi, con ricchezze incredibili concentrate in poche mani, megalomani dimensioni di vita privata – senza neppure l’ordine architettonico della dimensione pubblica che i Romani seppero realizzare nei loro progetti urbanistici – e in più qualche miliardo di Homo sapiens esclusi dalla dignità che toccherebbe a ogni essere umano. Bellezza e povertà (forse qualcuno ha affrontato il tema…).

Ma torniamo alla splendida Pompei delle foto di Spina e godiamocene la bellezza superstite, dopo che padroni, poveri e schiavi sparirono tutti insieme sotto la cenere. «’A livella…», la chiamava Totò.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”