29 agosto 2024
Analizzato per la prima volta il DNA delle iene fossili siciliane. Lo studio condotto dai ricercatori delle Università di Palermo, Statale di Milano, Firenze, Roma Sapienza, Bangor University e Cambridge.
Le iene siciliane, che abitavano l’isola prima dell’arrivo di Homo sapiens, appartengono a un gruppo diverso da quelle africane: si tratta di una popolazione “relitta” di iene insulari, caratteristica che le rende uniche al mondo, il cui DNA fossile nei resti biologici è sopravvissuto al clima caldo del Mediterraneo.
Prima ancora che Homo sapiens arrivasse in Sicilia, circa 16 mila anni fa, sull’isola erano molto diffuse le iene del genere Crocuta.
In principio non solo in Africa
Tra i più iconici carnivori delle savane, la iena macchiata è oggi presente in buona parte dell’Africa sub-sahariana, ma durante il Pleistocene, tra 800 e 16 mila anni fa, era diffusa in territori molto più ampi che includevano l’Europa e l’Asia, mentre l’unica isola dove la presenza di questa specie è stata documentata dai fossili, è la Sicilia.
Merito dell’isolamento geografico
Questa caratteristica rende le iene siciliane uniche da un punto di vista paleobiologico e offre agli studiosi una rara opportunità per comprendere meglio sia gli adattamenti che i processi evolutivi legati all’isolamento geografico di un grande carnivoro, estremamente raro in contesti insulari.
DNA antico sotto la lente
Grazie ai recenti avanzamenti nello studio del DNA antico, negli ultimi anni i paleogenetisti sono stati in grado di analizzare porzioni di DNA di alcune iene fossili, a oggi tutte provenienti da siti nord europei o dal nord della Russia e della Cina, dove le temperature basse favoriscono la conservazione del materiale genetico. In ambienti a clima caldo, come quello mediterraneo, nei resti antichi il DNA si conserva con maggiori difficoltà.
Notizie degli escrementi fossili
Il DNA nucleare è stato estratto con successo da un frammento di coprolite, un escremento fossilizzato di iena di oltre 20 mila anni, proveniente dal sito della Grotta San Teodoro (Messina). I risultati delle analisi hanno svelato che le iene siciliane possedevano caratteristiche genetiche molto particolari, uniche tra tutte le iene fossili di cui si conosce il DNA.
Dichiara ad Archeologia Viva Dawid A. Iurino (nella foto), paleontologo dell’Università Statale di Milano e coautore dello studio: «la possibilità di studiare il DNA antico permette i ricercatori di oggi di recuperare preziose informazioni anche da singoli frammenti ossei o da un singolo coprolite come nel nostro caso. Questo rappresenta un grande vantaggio per lo studio di oggetti per definizione rari come i frammenti fossili».
Potenzialità della paleogenetica
Giulio Catalano, paleogenetista dell’Università di Palermo e primo autore dello studio, commenta: «possiamo ipotizzare che un tempo la popolazione di queste iene fosse ampiamente distribuita sul continente, circa 500mila anni fa. Ma arrivate in Sicilia, grazie all’isolamento geografico, questa popolazione ha conservato le proprie caratteristiche genetiche mentre nel resto d’Europa si è invece persa nel corso del tempo. Questo grazie anche al contributo dei diversi scambi genetici avvenuti con le iene africane».
Luca Sineo, docente dell’Università di Palermo e responsabile del progetto, commenta: «Grotta San Teodoro, con il suo enorme patrimonio, si conferma tra i più importanti siti europei per lo studio del Pleistocene, ovvero gli ultimi 2.5 milioni di anni».
Grotta San Teodoro (Messina)
«Grazie alla grande mole di dati che si possono ottenere da un numero sempre maggiore di resti appartenenti a specie diverse, siamo in grado di delineare con elevata precisione la storia evolutiva non solo dell’uomo, ma di molteplici forme viventi», conclude David Caramelli, professore ordinario di Antropologia dell’Università di Firenze.
La pubblicazione integrale della scoperta sulla rivista scientifica di settore Quaternary Science Reviews