Archeologia Viva n. 228 – novembre/dicembre 2024
di Piero Pruneti
Archeologia pubblica. Quando nacque la nostra rivista il concetto era quasi una bestemmia. Bisognava stare attenti a non fare troppe domande, soprattutto agli archeologi delle soprintendenze, custodi di “segreti” che poco avevano da invidiare ai militari. Comunicare con la società non era dovuto… Dopo quasi mezzo secolo le cose sono cambiate e all’archeologia viene riconosciuto il suo attributo fondativo, per cui è “pubblica” o non è.
Il presente numero di Archeologia Viva dimostra quanto la comunicazione di scavi e scoperte faccia ormai parte del modus operandi dei nostri archeologi. Non è più la “società civile” che entra in punta di piedi nei loro spazi, mentre sono loro stessi che, oltre al lavoro di ricerca, creano modalità e occasioni per coinvolgere la gente “normale”, cioè quella che “normalmente” non si occupa della materia, ma che è pronta a sentirne il richiamo, il fascino, se sai proporgliela come si deve.
Possiamo partire dai due articoli pugliesi, sulle ricerche delle università di Bari e di Foggia a Canosa e a Siponto, dove si documenta quanto è stato riportato in luce, ma anche il tempo investito per l’accoglienza sugli scavi, perché è evidente che il modo con cui si presenta una scoperta non può essere lo stesso per l’addetto ai lavori e per chi nella vita fa tutt’altro. Quindi visite guidate – evitando di parlare in “archeologhese” – ma anche animazioni, concerti, feste… L’archeologia è il passato che ci appartiene, dobbiamo prenderci confidenza, viverci insieme.
La stessa cosa è avvenuta in Valle Camonica, a Breno nel Parco del santuario di Minerva, e poi – solo limitandoci a questo numero – Vetulonia per comunicare con una mostra immersiva una grande scoperta etrusca, oppure Aidone dove un museo parla di capolavori ma anche di legalità, o Firenze dove al centro tecnico della squadra del cuore è legata la memoria di come eravamo duemila anni fa.
Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”