9 novembre 2024
Nel 79 d.C., il Vesuvio produsse una delle maggiori eruzioni della sua storia seppellendo la città romana di Pompei e i suoi abitanti sotto uno spesso deposito formato da lapilli e ceneri. Molti pompeiani furono uccisi dal crollo dei tetti dovuto al carico dei lapilli che cadevano da decine di chilometri d’altezza mentre altri, sopravvissuti a questa prima fase, trovarono la morte a causa dei flussi piroclastici che avvolsero e inglobarono i corpi in un compatto deposito di cenere, preservandone le fattezze.
Nuove ricerca svela nuove verità
Come è noto lo studio dell’antico DNA estratto dai resti ossei, intrappolati nei famosi calchi realizzati colando il gesso all’interno dei vuoti lasciati da quei corpi, cambia la storia scritta a partire dalla riscoperta della città nel 1748. Adesso una ricerca internazionale − pubblicata su Current Biology, guidata dall’Università di Firenze, dall’Università di Harvard, dal Max Planck Institute di Lipsia, su istanza scientifica del Parco Archeologico di Pompei − attraverso le prove del DNA, mostra che i sessi e le relazioni familiari degli individui non corrispondono alle interpretazioni tradizionali che erano state formulate.
Analizzati 14 calchi
Il team ha estratto il DNA dai resti scheletrici, assai frammentati e mescolati al gesso, traendolo da 14 degli 86 calchi che erano all’epoca in fase di restauro. Questo metodo ha permesso di determinare con precisione le relazioni genetiche, il sesso e l’ascendenza. E ciò che è stato scoperto è in gran parte in contrasto con le ipotesi basate esclusivamente sull’aspetto fisico e il posizionamento dei calchi.
David Caramelli, docente di Antropologia all’Università di Firenze (foto sopra): «questo studio dimostra quanto l’analisi genetica possa arricchire notevolmente narrazioni elaborate sulla base di dati archeologici. Queste scoperte sfidano interpretazioni di lunga data, come l’associazione dei gioielli alla femminilità o l’interpretazione della vicinanza fisica come indicatore di relazioni biologiche.
«Ugualmente – continua Caramelli – i dati genetici complicano le semplici narrazioni di parentela: nella Casa del Bracciale d’Oro, che è l’unico sito per il quale abbiamo dati genetici di più persone, i quattro individui comunemente interpretati come genitori e i loro due figli, in realtà non sono geneticamente imparentati».
Gruppo di calchi da Casa del Bracciale d’Oro. Calchi n. 50-51-52, data di creazione 1974 (per gentile concessione del Parco archeologico di Pompei)
La Scienza riscrive la Storia
I dati genetici hanno offerto anche informazioni sull’ascendenza dei pompeiani, che avevano background genomici diversi. La scoperta che essi discendevano principalmente da recenti immigrati dal Mediterraneo orientale evidenzia la natura cosmopolita dell’Impero romano. «Inoltre – ha aggiunto David Caramelli -, è possibile che lo sfruttamento dei calchi come veicoli per la narrazione abbia portato alla manipolazione delle loro pose e del loro posizionamento da parte dei restauratori in passato. I dati genetici, insieme ad altri approcci bio-archeologici, offrono l’opportunità di approfondire la nostra comprensione delle vite e dei comportamenti delle persone che furono vittime dell’eruzione del Vesuvio».
Il Direttore del Parco di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, afferma «le analisi del DNA antico sono ormai da anni parte dei protocolli di studio del Parco di Pompei, e non solo per quello che riguarda le vittime umane: altre linee di ricerca riguardano, per esempio, le vittime animali. Pompei si trasforma in un vero e proprio laboratorio per la creazione di nuove metodologie, nuove risorse e confronti scientifici. In quest’ottica, questo studio si configura come un tassello di un vero e proprio ribaltamento di prospettiva, in cui il sito stesso si pone al servizio dell’archeologia e della ricerca».
In apertura: calchi n.21 e 22 da Casa del Criptoportico, data di creazione 1914 (per gentile concessione del Parco archeologico di Pompei)