L’armata scomparsa di Cambise: tracce di una tragedia Grandi imprese

L’armata scomparsa di Cambise

Archeologia Viva n. 141 – maggio/giugno 2010
pp. 38-49

di Alfredo e Angelo Castiglioni

Come riferisce Erodoto le truppe persiane dirette a Siwa scomparvero in una tempesta di sabbia e nessuno finora ne aveva ritrovato i resti

Ecco le scoperte di due famosi ricercatori del nostro tempo che sulla base della loro profonda conoscenza delle aree desertiche ci forniscono importanti elementi per un’ipotesi “di lavoro” sull’itinerario seguito dai soldati persiani e sul luogo della loro fine

Durante la ventesima Rassegna internazionale del cinema archeologico, a Rovereto l’ottobre scorso, era in programma il nostro documentario L’armata scomparsa di re Cambise.

È la cronaca di casuali rinvenimenti archeologici avvenuti nell’ormai lontano 1996 durante una missione geologica del Ce.R.D.O (Centro Ricerche Deserto Orientale), alla quale, oltre ai sottoscritti, parteciparono Dario del Bufalo dell’Università di Lecce, Ali A. Barakat del Geological Museum del Cairo, Luigi Balbo per la documentazione fotografica e l’interprete Frida Tchacos.

La scoperta di frammenti ossei umani e di alcuni reperti, riferibili alla antica dinastia persiana degli Achemenidi, ci fece supporre di aver scoperto le tracce dell’armata scomparsa di Cambise II (529-522 a.C.), di cui parla Erodoto.

Avremmo voluto continuare le indagini per risolvere in via definitiva uno dei grandi misteri della storia, ma finora non è stato possibile per diverse ragioni, tra cui la necessità di dedicare tutto il tempo e le risorse alle ricerche nella zona della nostra concessione archeologica in Sudan e agli scavi nel sito di Berenice Pancrisia. Stando così le cose, abbiamo ora deciso di riassumere su Archeologia Viva l’intera vicenda.

Lo storico greco Erodoto (484-425 a.C.) racconta nel terzo libro delle Historiai che Cambise nel 525 a.C. conquistò l’Egitto, dopo aver sconfitto a Pelusio, sul delta, il faraone Psammetico III (XXVI dinastia), e poi risalì il Nilo.

Arrivato a Tebe (attuale Luxor), inviò un’armata di cinquantamila uomini nel Deserto occidentale (libico) per distruggere l’oasi di Siwa, dove si trovava il celebre oracolo di Zeus Ammone, lo stesso dove due secoli dopo si sarebbe recato anche Alessandro Magno.

Scrive Erodoto: «I persiani, mandati a combattere contro gli Ammoni (gli abitanti di Siwa), arrivarono fino all’oasi chiamata Isola dei Beati (forse l’attuale el-Kharga), ma a partire da qui nessuno è più in grado di dire nulla sui soldati… Mentre prendevano il pasto, spirò contro essi un vento di meridione, potente e insolito, che li seppellì ed essi così sarebbero scomparsi…».

I motivi di questa difficile spedizione, finita in modo così drammatico, non sono chiari. Un’ipotesi potrebbe essere il desiderio di Cambise di controllare il commercio del silphium, probabilmente una pianta erbacea del deserto di uso medicinale, forse con effetti allucinogeni, che cresceva nella regione di Siwa e di Cirene.

Il silphium, ora scomparso (già nel V sec. d.C. non se ne trovava più), era perciò ricercatissimo. Non si può escludere che lo stesso Cambise, dedito al vino, facesse uso di questo allucinogeno: una mistura pericolosa che spiegherebbe i suoi atti di incontrollata violenza. «Un despota folle», lo definì Erodoto, del quale però occorre tener presente l’avversione nei confronti dei persiani. […]