Archeologia Viva n. 140 – marzo/aprile 2010
pp. 56-60
di Francesca Spatafora
Semidistrutto agli inizi del Novecento e occultato da strutture industriali il complesso difensivo che a partire dai Normanni ha accompagnato la storia della capitale siciliana è stato ora recuperato alla vita della città
Quando nel 1922 le ruspe della ditta McArthur di Londra, su disposizione del governo fascista e in nome della presunta necessità di ampliamento delle infrastrutture portuali, intrapresero la demolizione del Castello a Mare per avviare la costruzione del grande molo trapezoidale, a nulla valsero gli appelli degli intellettuali dell’epoca, dal soprintendente ai Monumenti Francesco Valenti al direttore del Museo nazionale Ettore Gabrici, per evitare uno degli scempi più assurdi consumati a Palermo, con l’eliminazione di quel formidabile presidio militare che, per oltre un millennio, aveva assicurato il controllo delle aree portuali e delle zone di ormeggio.
L’impresa appaltatrice fu solerte: in poco più d’un anno fu portata a compimento la demolizione, da cui si salvarono, in parte, solo il mastio e l’antica porta d’accesso. Quindi, nell’area del Castello – affacciato sulla Cala, l’antico porto della città – e sulle sue rovine, cominciarono a sorgere edifici industriali e si avviò un degrado inesorabile, con accumulo di enormi quantità di detriti, scorie, materiali tossici… Lentamente la città perse memoria di uno dei suoi luoghi “simbolo”! […]