A cura di Giuliano Volpe
ordinario Archeologia all’Università di Bari
membro Comitato scientifico di “Archeologia Viva”
Oltre ottocento dirigenti, funzionari, collaboratori del Ministero della Cultura hanno fatto sentire la propria voce in difesa della popolazione di Gaza e del patrimonio culturale della Palestina.
Come si legge nel loro documento, si rifiutano di essere «percepiti come burocrati o custodi di una Bellezza astratta e fuori dal tempo, quando non intrattenitori di un pubblico di visitatori e turisti» e, rinnovando una gloriosa tradizione, che ha sempre visto gli specialisti del patrimonio culturale in prima linea nelle battaglie civili, per fare della cultura uno strumento di pace e crescita umana e non di guerra e oppressione, hanno rifiutato l’afasia e si sono esposti, mettendoci la faccia. I dipendenti MiC si rivolgono al Governo, in primis quindi al ministro Giuli e alla presidente Meloni, perché si esca da un generico appello alla pace e a quello che ormai appare solo uno slogan (“due popoli e due stati”), abbandonando posizioni ambigue e procedendo con il riconoscimento dello Stato palestinese, il congelamento dei «trattati politici e, soprattutto, commerciali con lo Stato di Israele e che questo sia sottoposto a sanzioni; che siano sospese le forniture di armamenti e prodotti dual use e che sia interrotto ogni supporto logistico alle sue operazioni militari». Chiedono, inoltre, che il nostro Ministero della Cultura si impegni direttamente: «Chiediamo che nei nostri Istituti siano promosse iniziative di solidarietà nei confronti della popolazione palestinese e di sensibilizzazione rispetto agli eventi in corso».
Il nome di Gaza è per gli archeologi legato a un tipo di anfora commerciale prodotta in età tardoantica e ai rapporti commerciali con tutto il Mediterraneo. Oggi è invece legato a un’immagine di fame e morte. Risulta, quindi, ancor più urgente applicare i principi della Convenzione di Faro, nella convinzione della «fondatezza dei principi di quelle politiche per le iniziative educative che trattano equamente tutti i patrimoni culturali, promuovendo così il dialogo fra culture e religioni» e del «ruolo del patrimonio culturale nella costruzione di una società pacifica e democratica, nei processi di sviluppo sostenibile e nella promozione della diversità culturale». È quello che gli ottocento colleghi del MiC, con il loro coraggioso appello, ci invitano a fare.
Ecco il testo del documento: «Le lavoratrici e i lavoratori del Ministero della Cultura firmatari di questo documento manifestano la propria ferma condanna rispetto al genocidio messo in atto da Israele a Gaza e in Cisgiordania, ed esprimono piena solidarietà nei confronti della martoriata popolazione palestinese. L’opinione pubblica è ormai in larghissima parte consapevole delle ingiustificabili violenze ai danni dei civili che vengono perpetrate da quasi due anni: le centinaia di migliaia di persone scese in piazza in decine di città italiane lo hanno dimostrato in modo inequivocabile, smentendo la rozza e offensiva equiparazione con l’antisemitismo di ogni forma di manifestazione di dissenso rispetto alle politiche di Israele. […] Soprattutto sembra necessario che gli amministratori locali e i rappresentanti del Governo superino le imbarazzate esortazioni alla pace e le generiche dichiarazioni d’intenti e adottino misure concrete, volte a isolare Israele sul piano militare, economico, diplomatico e politico. Chiediamo che l’Italia si allinei alla stragrande maggioranza dei Paesi mondiali riconoscendo lo Stato di Palestina; che tenga conto dei pronunciamenti e delle risoluzioni dell’ONU e delle richieste della Corte Penale Internazionale in merito alle violazioni del diritto internazionale e ai crimini di guerra imputabili a Israele e ai rappresentanti del suo Governo; che vengano congelati i trattati politici e, soprattutto, commerciali con lo Stato di Israele e che questo sia sottoposto a sanzioni; che siano sospese le forniture di armamenti e prodotti dual use e che sia interrotto ogni supporto logistico alle sue operazioni militari. Chiediamo che siano intensificate e non ostacolate le iniziative volte a garantire vie di uscita da Gaza, al momento limitate a malati gravi e gravissimi, attraverso ogni strumento a carattere culturale, quali il conferimento di borse di studio a studenti universitari gazawi o forme di gemellaggio. […] Respingiamo ogni tentativo di presentare l’iniziativa della Global Sumud Flotilla come un’operazione avventata o, peggio, come un attacco diretto al nostro Governo. Le lavoratrici e i lavoratori del MiC sono spesso percepiti come burocrati o custodi di una Bellezza astratta e fuori dal tempo, quando non intrattenitori di un pubblico di visitatori e turisti. Ci preme invece ribadire che gli Istituti del Ministero, in cui il nostro patrimonio culturale viene tutelato, studiato e raccontato, non possono non configurarsi come laboratori di riflessione sulle dinamiche della Storia e sulla realtà contemporanea. Chiediamo dunque che nei nostri Istituti siano promosse iniziative di solidarietà nei confronti della popolazione palestinese e di sensibilizzazione rispetto agli eventi in corso; che il Ministero renda pubblici eventuali accordi in essere con Istituti della cultura israeliani e che si impegni a sospendere, sulla scia di quanto sta accadendo in diversi Atenei, ogni collaborazione con quelli direttamente o indirettamente coinvolti con le politiche governative di Israele. Chiediamo infine che venga presa una posizione netta nei confronti della devastazione del patrimonio monumentale e archeologico della Striscia di Gaza, che avviene sistematicamente da mesi ormai, in spregio alle disposizioni della Convenzione dell’Aja del 1954 per la protezione, salvaguardia e rispetto di beni culturali in casi di conflitto armato, di cui anche Israele è firmatario; riteniamo che questa azione delle forze armate israeliane, per quanto “collaterale” rispetto all’immane perdita di vite umane, costituisca un’ennesima forma di cancellazione dell’identità culturale palestinese e di attacco al radicamento della popolazione al proprio territorio».
La foto in apertura della moschea al-Omari distrutta è dell’archeologo palestinese Fadel Autol