13 novembre 2025
L’Università degli Studi di Milano dedica, lunedì 17 novembre, una giornata all’archeologia, in collaborazione con Archeologia Viva e con la partecipazione di ospiti e rappresentanti delle istituzioni impegnate nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.
L’incontro (dalle 9 alle 17,30 presso l’Aula Magna – ingresso libero) sarà anche l’occasione per conoscere da vicino gli scavi archeologici dell’Ateneo, attivi in Italia, Grecia, Egitto, Iraq e Turchia.
Luca Peyronel, delegato alla Ricerca, Didattica e Terza Missione per gli Scavi archeologici, fa il punto sul presente e sul futuro di una disciplina di grande fascino e rilevanza, ricordando che «ogni scavo, ogni progetto di ricerca condiviso con le istituzioni e le comunità locali rappresenta non solo un contributo alla conoscenza del passato, ma anche un gesto di fiducia nel futuro: un modo per ricostruire relazioni, rafforzare il dialogo interculturale e riaffermare il diritto universale alla cultura come strumento di pace e di libertà».
A seguire l’intervista rilasciata a La Statale news.
Professor Peyronel, quanti sono gli scavi di cui si occupa la Statale e in quanti Paesi del mondo?
La Statale è una delle pochissime università italiane a sostenere gli scavi archeologici con un fondo dedicato, stanziato ogni anno dall’Ateneo attraverso un bando con progetti sottoposti a referaggio e valutazione. All’interno di questo programma specifico rientrano ventuno scavi, illustrati nei pannelli della mostra che sarà inaugurata il 17 novembre in occasione della Giornata dell’Archeologia in Aula Magna. In realtà gli scavi attivi sono molti di più, quasi cinquanta, finanziati con altre risorse o sostenuti da progetti di collaborazione nazionale o internazionale. Le ricerche si svolgono soprattutto in Italia, molte in Lombardia, ma siamo presenti in undici Paesi su tre continenti, con importanti missioni archeologiche in Grecia, Egitto, Turchia, Iraq, nei paesi del Golfo.
Veduta di Helawa- piana di Erbil – Iraq
Quali sono le epoche storiche di cui si occupano gli scavi della Statale?
Direi che la nostra è una archeologia davvero a tutto campo. Una caratteristica ‘strutturale’ dell’archeologia universitaria – e dunque anche dell’archeologia della Statale – è quella di porsi alla congiunzione di ricerca, didattica e terza missione. Nei nostri corsi di laurea la presenza di insegnamenti che coprono un ampio spettro di discipline archeologiche, con tirocini sul campo e stages, genera una relazione virtuosa tra formazione (a più livelli) e ricerca. Al tempo stesso, l’archeologia “in azione” si fonda sul legame diretto con i territori in cui si trovano i siti indagati, e dunque anche sul rapporto costante con le comunità. L’essere “pubblica” e in dialogo con la società determina una vocazione intrinsecamente ‘sistemica’ alla terza missione della nostra archeologia.
Quali sono le scoperte più rilevanti degli ultimi anni?
L’archeologia è una scienza umanistica che fonda la ricostruzione del passato sullo studio e l’interpretazione dei resti materiali, con i tempi lunghi propri di una raccolta sistematica di informazioni attraverso lo scavo stratigrafico dei contesti archeologici. La ‘scoperta’ che rivela, illumina, e apre spazi di conoscenza spesso inaspettati sugli uomini, le comunità e le culture più o meno distanti da noi, è solo l’aspetto eclatante che rende la disciplina affascinante per questo suo riportare alla luce ciò che era prima nascosto, fisicamente sepolto sotto la terra, perduto dunque, dimenticato.
Nella rassegna pomeridiana della giornata di archeologia, i direttori delle missioni archeologiche della Statale presenteranno i risultati più significativi delle ultime ricerche, con la guida e la moderazione della giornalista Giulia Pruneti, caporedattrice della rivista Archeologia Viva.
Sono previste nuove aree di scavo e nuovi progetti di ricerca?
Negli ultimi anni, e con una prospettiva di ulteriore sviluppo, l’archeologia della Statale ha avviato importanti progetti internazionali, in Egitto, Iraq, Turchia, Oman, Emirati Arabi, financo in Giappone. In futuro, il settore degli scavi all’estero potrebbe essere ulteriormente potenziato. Ad esempio, in Siria, l’Università di Milano aveva avviato una missione archeologica a Palmira, bruscamente interrotte nel 2010 con l’inizio della crisi e del conflitto nel paese. Caduta nelle mani dell’ISIS, la splendida città carovaniera della regina Zenobia è stata travolta della furia iconoclasta, subendo danni gravissimi, e in alcuni casi la distruzione quasi totale di monumenti di eccezionale valore, come il Santuario di Bel.
Oggi, le mutate condizioni politiche consentono di riprendere i contatti con le autorità culturali siriane e sono in corso di elaborazione nuovi progetti internazionali per il recupero dell’integrità archeologica del sito, ai quali partecipa anche il nostro Ateneo. In generale, l’evoluzione dell’archeologia in Statale si definisce attraverso una ampia e consolidata rete di relazioni nazionali e internazionali sviluppata grazie agli scavi e alle missioni archeologiche. Si tratta di un vero e proprio network che comprende oltre cento accordi di collaborazione scientifica e rappresenta il segno tangibile dell’eccellenza di questo settore di ricerca dell’Ateneo.
Come le tecnologie stanno cambiando il lavoro dell’archeologo?
Senz’altro l’archeologia contemporanea, globale e a prospettiva integrata, è un’archeologia che non può fare a meno dell’apporto scientifico-tecnologico. La possibilità di stabilire collaborazioni interne all’università tra le cosiddette ‘scienze dure’ e quelle archeologiche è propria solo dei grandi atenei come il nostro e rappresenta una risorsa di grandissima rilevanza. Le nostre missioni hanno équipe che includono ricercatori di moltissime aree non umanistiche, i materiali provenienti dagli scavi sono analizzati e studiati nei nostri laboratori, che divengono spazi di formazione per studentesse e studenti non solo dunque di ambito umanistico. Per quanto riguarda i settori della ricerca che hanno aperto nuove prospettive, possiamo ricordare gli studi sul DNA con il tracciamento genetico che ha fornito dati di grande rilievo sulle forme di interazione e sugli spostamenti di gruppi umani, ma anche sui processi di diffusione della domesticazione degli animali. Tutto l’ambito dell’archeometria è in continuo sviluppo, dalla caratterizzazione dei materiali allo studio dei residui sugli oggetti, che permette di identificare ad esempio il contenuto di un vaso antico. Così come sempre più accurate sono le datazioni assolute di tipo scientifico, dal radiocarbonio alla dendrocronologia, e gli studi paleoclimatici, che hanno una particolare importanza anche rispetto a tematiche ecologiche di grande attualità.
Selinunte fotografata da drone
Un altro esempio significativo è rappresentato dalla cosiddetta ‘rivoluzione’ dei droni. Gli UAV (Unmanned Aerial Vehicles), che oggi siamo purtroppo abituati ad associare al loro impiego in ambito bellico, costituiscono in realtà uno strumento fondamentale per la ricerca archeologica. Essi consentono di elaborare in tempi estremamente rapidi modelli digitali tridimensionali dei siti, di mappare ampie porzioni di territorio e di individuare nuovi potenziali contesti archeologici. Allo stesso tempo, queste tecnologie sollecitano un’ampia riflessione di natura metodologica ed epistemologica, chiamando a ripensare i processi di produzione, gestione e condivisione del dato scientifico. Anche in questo ambito il nostro Ateneo si colloca all’avanguardia.
Nel nuovo Piano Strategico, l’Intelligenza Artificiale è stata individuata come uno degli assi centrali delle politiche di sviluppo dell’Università, con la previsione di azioni specifiche volte ad approfondire il ruolo e il significato dell’IA anche per la ricerca archeologica e per l’innovazione nei metodi di documentazione e scavo.



