Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 138 – novembre/dicembre 2009

di Piero Pruneti

I risultati delle analisi sui resti di Francesco I de’ Medici, effettuate dalla Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa in collaborazione con il Laboratorio di Parassitologia dell’Università di Torino, dovrebbero mettere la parola fine a una questione plurisecolare: se il granduca di Toscana sia morto di malaria, come troviamo scritto nei referti dei medici di corte, o per avvelenamento da arsenico, secondo la vox populi del tempo ispirata dai profondi dissapori di Francesco con il fratello Ferdinando e dalla supposta ambizione di quest’ultimo (cardinale di Santa Romana Chiesa già a quattordici anni per “meriti” dinastici) a subentrare sul trono granducale. La moglie Bianca, morta il giorno dopo, avrebbe subito la stessa sorte infame…

L’ipotesi dei colpevolisti – senz’altro più clamorosa e vendibile di una “banale” febbre malarica – sembra ora sconfitta: la prova ci viene dal risultato positivo di un esame sulle ossa mirante a verificare la presenza di Plasmodium falciparum, l’agente della malaria perniciosa (una malattia di cui era facile morire, tanto che aveva già portato alla tomba due fratelli di Francesco, i piccoli Giovanni e Garzia, e sua madre Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I, il fondatore del Granducato).

Gli attuali risultati di laboratorio, uniti alla descrizione che sta agli atti del decorso della malattia, ci fornisce una certezza storica sulla fine di Francesco I e, di riflesso, su quella della moglie Bianca Cappello (per la quale però gli elementi di valutazione sono enormemente ridotti, a partire dalla indisponibilità dei suoi resti, che non sono mai stati ritrovati).

Quanto al cardinale Ferdinando, divenuto Ferdinando I di Toscana alla morte del fratello (1587), imputato-vittima di un possibile movente, chi lo potrà mai risarcire dal sospetto oltraggioso che lo inseguì per tutta la vita e che si è portato nell’aldilà?

Fu un buon sovrano, ottimo amministratore, mite e tollerante. Emanò lui la cosiddetta Costituzione Livornina, grazie alla quale gli ebrei fuggiti dalla Spagna e poi tutte le minoranze etniche che tenevano casa a Pisa e nel vicino scalo di Livorno si videro garantite libertà religiosa e di azione economica. Un esempio per i tempi nostri, dove la paura prevale sulla lungimiranza…

A lui dedichiamo l’articolo di Gino Fornaciari, autore della ricerca insieme a Raffaella Bianucci, che pubblichiamo in esclusiva.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”