Divus Vespasianus: il vero volto dei Flavi Mostra a Roma

Archeologia Viva n. 136 – luglio/agosto 2009
pp. 20-31

di Barbara Levick, Filippo Coarelli, Giulio Firpo e Paul Zanker

A duemila anni dalla nascita del capostipite ci si interroga sulla reale portata storica di una dinastia di “plebei” che dopo i sussulti degli ultimi imperatori giulio-claudi seppe rimettere in ordine l’impero e ridare forza al principato predisponendo il mondo romano a una nuova grande epoca

«Finalmente i Flavi raccolsero e consolidarono il potere reso a lungo instabile…
Questa famiglia era oscura e priva di memorie di antenati illustri, ma lo Stato non ebbe affatto a pentirsene… »
(Svetonio, Vita di Vespasiano)

Perché dovremmo celebrare gli imperatori flavi, Vespasiano e i suoi figli Tito e Domiziano? Si tratta solo della seconda dinastia del principato, successori e non creatori; e mancano di fascino. Eppure nel centro di Roma si erge il grandioso edificio alla cui costruzione parteciparono tutti e tre, il Colosseo, il cui nome originario è Anfiteatro Flavio. È proprio la loro posizione di “secondi arrivati” e la mancanza di carisma che rende i Flavi degni di attenzione.

Lo storico Tacito racconta nelle Historiae (I, 16) che Servius Sulpicius Galba, il governatore di Spagna che subentrò a Nerone nel 68, dichiarandosi suo erede, sosteneva che un impero divenuto virtualmente proprietà ereditaria di una sola famiglia doveva ora trovare la libertà attraverso un altro sistema di ascesa al potere, e cioè la scelta dell’uomo migliore.

La dichiarazione di Galba potrebbe non essere autentica, e comunque non venne soddisfatta. Per quanto deludenti fossero stati i successori di Augusto (morto nel 14 d.C.), la fine della dinastia dei Giulio-Claudi – che affondava le radici del proprio diritto al potere nella figura di Cesare – fu uno shock per l’intero mondo romano.

E poi, non tutti i sudditi di Roma erano felici della caduta di Nerone: nelle province di lingua greca il suo filoellenismo gli conferiva un certo credito e il grandioso gesto di restituire la libertà alle poleis eliminando il governo provinciale di Roma faceva leva su un sentimento radicato.

Infine, tutti i vantaggi che la pace aveva apportato potevano essere spazzati via da un susseguirsi di guerre civili. Ciò apparve ancora più probabile nel momento in cui un pretendente dopo l’altro, nel 68-69, l’”anno dei quattro imperatori”, si batté per la supremazia: Galba restò in carica sei mesi, Marcus Salvius Otho, nonostante il sostegno dei pretoriani, solo per tre e Aulus Vitellius, che aveva gli eserciti del Reno a disposizione, per otto.

Ma l’ultimo e meno prestigioso di tutti, Titus Flavius Vespasianus, usando le risorse e le legioni orientali si pose stabilmente al potere all’età di sessant’anni, sedando una rivolta sul Reno e una in Gallia, regnò per circa dieci anni e passò la sua carica – perché ormai questo era diventato il principato – ai suoi figli.

Per primo ascese al potere il maggiore, che aveva lo stesso nome di Vespasiano ed è noto come Titus (79-81); dopo di lui, visto che era morto senza lasciare figli, il minore, Titus Flavius Domitianus (81-96). 
Questa seconda dinastia ristabilì la solidità e la saldezza del principato.

Tanto che l’uccisione di Domiziano nel 96 non fu seguita da una guerra civile, ma dal rapido passaggio a un senatore debole e anziano, sovrano ad interim, Marcus Cocceius Nerva (96-98), a cui subentrò senza difficoltà un uomo d’armi, Marcus Ulpius Traianus (98-117). […]