La via Etrusca dei due mari Natura e archeologia

La via Etrusca dei due mari

Archeologia Viva n. 134 – marzo/aprile 2009
pp. 50-59

di Gianfranco Bracci, Claudio Calastri e Daniele Vitali

Dal mare Tirreno all’Adriatico (e viceversa) da Pisa a Spina un flusso continuo di merci teneva legate l’Etruria propria e l’Etruria padana lungo una millenaria direttrice di traffico

La stessa che a breve potrà essere ripercorsa da quanti amano andare alla scoperta di un’Italia “per chi se ne intende”

Lo storico greco di origine persiana Scilace di Carianda, vissuto fra VI e V sec. a.C., asseriva che i Tirreni potessero percorrere il tracciato da Spina a Pisa in soli tre giorni (studi aggiornati attribuiscono l’affermazione allo pseudo-Scilace, autore di un periplo del Mediterraneo databile al IV sec. a.C.).

Tre giorni non bastavano certamente per coprire, con i mezzi dell’epoca (essenzialmente carri, cavalli e muli), i circa 260 chilometri che dividono l’Adriatico dal Tirreno.

L’Etruria padana era comunque collegata all’Etruria propriamente detta (fra Arno e Tevere) da un intenso flusso di traffici che doveva avvalersi di percorsi consolidati, fra cui non mancavano efficienti tratti stradali. In proposito si credeva che gli Etruschi usassero strade extraurbane in sola terra battuta, al più scavate nella roccia tufacea (come le note “vie cave” dell’Etruria meridionale), ben lontani dalla tecnologia delle grandi vie consolari romane.

Poi, un bel giorno (maggio 2004) il gruppo di ricerca coordinato da Michelangelo Zecchini, arche­ologo di Lucca, sotto la direzione scientifica di Giulio Ciampoltrini della Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana, compie un ritrovamento di eccezionale valore: in località Casa del Lupo, presso Capannori (Lu), affiorano circa duecento metri di una strada larga da quattro a sette metri (potevano passarci due o tre carri), ricoperta da una specie di “asfalto” (argilla pressata e piccoli ciottoli di fiume) che la rendeva liscia e resistente al passaggio di uomini e mezzi.

Sembrava la solita strada romana, segnata in più punti dai solchi dei carri, ma i frammenti di vasi etruschi e attici insinuati fra le pietre hanno consentito di datarla tra fine VI e prima metà del V sec. a.C., in pieno periodo etrusco tardoarcaico. Ecco apparire dunque la più antica “superstrada” italiana.

Intanto a Prato, in località Gonfienti (probabilmente dal latino confluentes, dove il torrente Marina si getta nel Bisenzio, affluente di destra dell’Arno), la Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana porta in luce una città etrusca di dodici ettari (trenta quelli tutelati), al cui centro viene ritrovata una residenza di ben 1440 metri quadrati (fra le più grandi di età arcaica mai ritrovate), più del doppio della coeva domus dei Tarquini a Roma.

Fra i tanti reperti ci sono una kylix attribuita al pittore greco Douris (inizi V sec. a.C.) e le antefisse che ornavano il tetto. Il tutto a ulteriore conferma della floridezza economica dell’etrusca Gonfienti.

La tipologia della città ricorda la “consorella” d’oltre Appennino: Marzabotto-Kainua, nella valle del Reno, a sua volta non lontana da Felsina (Bologna). […]