Mummie reali: una vita per l’antichità Antico Egitto

zahi hawass. Mummie reali: una vita per l’antichità

Archeologia Viva n. 133 – gennaio/febbraio 2009
pp. 40-49

di Zahi Hawass (in collaborazione con White Star)

La lotta contro l’oblio eterno conobbe in Egitto uno dei tentativi più complessi e metodici messi in atto dall’uomo per continuare a vivere oltre i misteriosi limiti dell’esistenza

Ecco ora Zahi Hawass superare indenne le “maledizioni dei faraoni” con il suo racconto di scopritore e studioso di corpi mummificati alla ricerca di verità storiche manomesse dal tempo e (soprattutto) dagli uomini

Le mummie possiedono un alone di magia e mistero e da sempre hanno il potere di conquistare il cuore delle persone. Sono tuttavia contrario al modo in cui alcuni musei le espongono, troppo spesso con il mero intento di impressionare. Una trentina d’anni fa accompagnai la principessa Margaret al Museo Egizio del Cairo. A quel tempo, la mummia di Ramesse II era in mostra in una delle gallerie. Quando la vide, Margaret fuggì coprendosi gli occhi: quella mummia era stata un uomo.

Poco dopo, l’allora presidente Anuar el-Sadat in una conferenza stampa al Museo annunciò che le mummie sarebbero state trasferite di nuovo nelle proprie tombe essendo offensivo esporre defunti in un museo. Condivido questa opinione: anche se per motivi di conservazione e tutela non è possibile ricollocare le mummie nei sepolcri, non ci è consentito di esporle come feticci spettacolari.

Le parole non possono descrivere la mia emozione di fronte al corpo di Tutankhamon. L’avventura ha inizio il 5 gennaio 2005, quando la mummia del giovane sovrano venne rimossa dalla sua tomba nella Valle dei Re (King’s Valley), la KV 62, dopo quasi ottant’anni.

Una squadra da me guidata sollevò i fragili resti, ancora poggianti sul letto di sabbia sul quale li aveva deposti Howard Carter, e li trasferì in un apparecchio per la tomografia computerizzata (TC).

L’esame durò quindici minuti, durante i quali vennero scattate mille e settecento sezioni corporee, poi elaborate in tridimensionale e analizzate da esperti diretti da Madiha Khattab, preside della Facoltà di Medicina dell’Università del Cairo.

La mummia era stata smembrata dai collaboratori di Carter, il cui principale interesse era recuperare i centocinquanta gioielli e amuleti inseriti tra le bende, oltre a trarre dalla salma la maggiore quantità di dati scientifici.

Per rimuovere gli oggetti preziosi e il corpo dal sarcofago, al quale era unito per effetto dell’indurimento dei prodotti (per lo più resine) usati per ungere la mummia, questi tagliarono il corpo stesso in più parti: il torso, ad esempio, fu diviso a metà, braccia e gambe vennero staccate, la testa, alla quale aderiva la maschera funeraria d’oro per effetto della solidificazione delle resine, fu recisa e le due parti separate con l’ausilio di coltelli arroventati. Carter aveva scoperto la tomba di Tutankhamon nel 1922 e vi depose nuovamente il corpo del re soltanto nel 1926. […]