I Dioscuri sul Quirinale Dai Greci ai Romani

Roma: i Dioscuri sul Quirinale

Archeologia Viva n. 133 – gennaio/febbraio 2009
pp. 32-39

di Paolo Moreno, a cura di Annalisa Venditti

I colossi in marmo che fin dall’antichità adornano il Colle sono copie romane di un gruppo in bronzo di Fidia e Prassitele il Vecchio che aveva ispirato un gran numero di artisti nei secoli fra l’età classica e l’ellenismo

Insieme agli archi trionfali e allE colonne istoriate, i Dioscuri che dominano la piazza del Quirinale sono tra gli stupefacenti complessi figurativi rimasti a Roma dall’antichità senza conoscere l’interro.

Erano stati posti a ornamento del tempio di Ercole e Bacco (già creduto del Sole o di Serapide), voluto da Settimio Severo intorno al 198 d.C. come auspicio per il futuro dominio dei figli Caracalla e Geta, sul pendio del colle verso la Flaminia (attuale via del Corso).

Trasferiti nelle adiacenti terme dette di Costantino, forse dovute al predecessore di questi Massenzio (306-312), furono ancora oggetto di cura nel 411 da parte del prefetto urbano dopo il passaggio di Alarico.

A partire dal medioevo i Dioscuri servirono di riferimento topografico e simbolico per le descrizioni, visioni e piante della città. Nel 1470 vennero puntellati con muri di mattoni, come si può vedere in alcune stampe cinquecentesche.

Sisto V (1585-1590) li fa integrare in marmo nelle parti mancanti dallo scultore e archeologo Flaminio Vacca, mentre l’architetto Domenico Fontana libera l’attuale piazza del Quirinale dai ruderi delle terme (1589-1591).

Nel 1783, per volontà di Pio VI e su progetto di Carlo Antinori, viene prelevato un obelisco dal mausoleo di Augusto (dove faceva coppia con quello oggi sull’Esquilino) e collocato tra i Dioscuri: all’occasione si modifica la posizione delle basi, reciprocamente allineate, fatte convergere come oggi le vediamo. Raffaele Stern sistema la fontana durante il papato di Pio VII (1800-1823).

La fortuna moderna dei colossi, costantemente ammirati dagli artisti (tra i quali Pisanello, Andrea del Castagno, Mantegna e Michelangelo), e la vicenda delle fantasiose interpretazioni proposte attraverso i secoli per i due personaggi (vedi scheda: I gemelli fraintesi) sono state motivo di citazioni e studi, mentre è deludente il risultato per quanto riguarda la situazione del monumento nella storia dell’arte antica.

Le iscrizioni che segnalano le statue, quella di sinistra come «opus Phidiae», ‘opera di Fidia’, e l’altra di un Prassitele, «opus Praxitelis», sono trascrizioni effettuate sui basamenti del tempo di Sisto V, con la correzione erudita Phidiae per l’originario Fidiae: le didascalie di epoca romana imperiale, tracciate presso la cornice superiore delle basi, erano state lette durante il medioevo, e sono attestate in disegni e stampe.

Nomi di artisti accompagnati dal latino opus o dal greco érgon su plinti di statue, sostegni o erme, indicavano un originale trasportato nell’Urbe, ovvero l’attribuzione dell’archetipo di cui si esibiva una copia.

Nel caso dei Dioscuri, gli archeologi si sono in generale arenati sull’impossibilità di far corrispondere l’attività di Fidia (490-420 a.C.) con quella più tarda del Prassitele esponente dello stile bello (390-326 a.C.): accostando al gruppo la serie di sarcofagi di età severiana (193-211) dove i Dioscuri appaiono nella medesima posa obliqua, si assegna correntemente a tale periodo non solo l’esecuzione materiale delle statue del Quirinale – il che è corretto per la tecnica di lavorazione del marmo – bensì l’invenzione stessa di esse come opera romana. […]