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L’aratro e il torchio: gli Etruschi agricoltori

Archeologia Viva n. 130 – luglio/agosto 2008
pp. 64-67

di Paolo Giulierini

L’agricoltura etrusca fu una delle più precoci e avanzate della Penisola tanto da costituire una voce decisiva nell’export della più importante e ricca civiltà italica

L’Etruria fu sempre ricordata per la feracità delle terre e la produzione cerealicola, della quale spesso si decantava la resa, tanto che fin dal V sec. a.C. essa rifornì Roma durante varie carestie.

Livio riporta il caso del ricco cavaliere Spurio Melio che nel 440 a.C., di propria iniziativa e a proprie spese, comperò frumento dagli Etruschi. Sarebbe giunto dall’Etruria un cereale superiore in grado di cambiare le abitudini alimentari dei Romani, che solo verso la metà del V sec. a.C. cominciarono a nutrirsi con pane e non più solo di pappe e polente (pultes).

Si risale a questo periodo grazie alla preziosa informazione di Verrio Flacco, riportata da Plinio il Vecchio, il quale afferma che i Romani per trecento anni dalla fondazione della città (tradizionalmente il 753 a.C.) avrebbero consumato solo farro, cereale inferiore (a cariosside vestita) non adatto alla panificazione.

Alla fine del IV sec. a.C., il console Fabio Rulliano, conducendo i soldati attraverso la dura selva dei monti Cimini (nell’attuale Tuscia viter­bese), poté contemplare dall’alto il ricco paesaggio agricolo dell’etrusca Volsinii (l’attuale Orvieto).

La fertilità delle terre intorno a Clevsi (Chiusi), in Valdichiana, coltivate a cereali, viti, olivi e fichi, attirò anche i Celti nel 380 a.C. Al tempo della calata di Annibale, nel 218 a.C., ricche di cereali si presentavano anche le campagne fra Fiesole e Arezzo.

Sempre nell’ambito della seconda guerra punica, nel 205 a.C., furono ancora le etrusche Caere (Cerveteri), Roselle, Volterra, Chiusi, Perugia e Arezzo a inviare grandi quantità di frumento alla flotta di Scipione che salpava per Cartagine. […]