Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 128 – marzo/aprile 2008

di Piero Pruneti

L’ampio articolo che pubblichiamo sull’Armenia ci presenta una vicenda plurimillenaria di grandezza e tragedia. Potremmo aggiungere di “ingiustizia” se la Storia con la “s” maiuscola avesse un senso. Stiamo parlando di un Paese esteso oggi meno di Toscana e Umbria insieme che più di altri ha pagato il prezzo di trovarsi compresso fra cristianesimo e islam e, ancor di più, in un crocevia di grandi potenze: la Russia degli zar poi Unione Sovietica, l’Impero Ottomano poi Turchia di Atatürk, la grande Persia di sempre.

Così questa piccola terra “lontana”, senza sbocchi al mare e con un’economia che in gran parte si regge sulle rimesse degli armeni della diaspora, ci affascina per la sua caparbietà di esistere, sostenuta nella sua idea di nazione da uno straordinario complesso di monasteri, gli stessi che sotto le loro mura videro passare il diluvio dei Mongoli.

Da ultimo il genocidio, consumato nei gironi infernali del secolo scorso, al pari della Shoah, degli stermini stalinisti e, anche di recente, non dimentichiamolo, delle stragi serbo-bosniache, solo rimanendo in Euro­pa… Agli armeni il genocidio è costato un numero imprecisato di centinaia di migliaia di morti che la Turchia tutt’ora non riconosce. Sta di fatto che l’Armenia occidentale, quella del monte Ararat, è una terra dove gli armeni non ci sono più.

Qui i monasteri sono ruderi di una civiltà sradicata con l’eccidio. Ha un senso mettere il dito in ferite ancora non rimarginate? È assolutamente necessario. Perché se la Storia non ha una morale, l’umanità non ne può invece prescindere. Solo riconoscendo i propri terribili errori si può arginare la ferocia che – lo sappiamo ormai – periodicamente è capace di esplodere.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”