Prima del restauro guardare sott’acqua Archeologia subacquea

Archeologia Viva n. 7 – settembre/ottobre 1989
p. 71

di Giovanni Belardi

La ricognizione delle parti sommerse di un monumento può fornire un contributo fondamentale di conoscenze per intervenire in modo corretto sull’intera struttura

Succede quasi sempre che il concetto di archeologia subacquea viene limitato alla realtà dei mari, dei laghi e dei fiumi, trascurando alcuni aspetti di questa interessantissima attività di ricerca che, invece, dovrebbero esservi annoverati a pieno titolo.

La decennale esperienza in una Soprintendenza ai Monumenti, e ancor prima nello svolgimento dell’attività di architetto sempre nel campo del restauro monumentale, ha portato lo scrivente a convivere con la continua necessità di indagare tutte le strutture murarie che compongono un manufatto, alla ricerca delle vicissitudini storico-architettoniche, ivi comprese le murature interrate e quelle realizzate per contenere le acque.

Mi riferisco, ad esempio, alle cisterne dei chiostri delle abbazie, ai pozzi, alle canalizzazioni sotterranee per l’utilizzazione delle acque naturali, che sempre le comunità religiose di qualunque ordine (benedettini, cistercensi, ecc.) sfruttavano sapientemente, costituendo su questo principio il punto di partenza della ubicazione e quindi della scelta dello spazio per l’edificazione del luogo di culto e di vita della comunità stessa.

La prima volta che scesi in una cisterna, fu nel Chiostro del Convento di San Francesco, in Lugnano in Teverina, nell’anno 1977. Immediatamente mi resi conto che nessuna delle strutture fuori terra fino ad allora studiate, era rimasta intatta e quindi così palesemente parlante, come quella che si delineava ai miei occhi.

La sorpresa massima fu nello scoprire che lì, in quell’ambiente al riparo da qualunque manomissione, edificato per rimanere sempre occulto, gli esecutori avevano operato con la stessa cura e intelligenza dedicata alla più squisita colonnina tortile del chiostro. […]