Il Pittore di Micali Un artista etrusco

Archeologia Viva n. 3 – gennaio/febbraio 1989
pp. 18-23

di Nigel J. Spivey e Maria Antonietta Rizzo

L’hanno chiamato così ma non sappiamo il nome di uno dei più antichi pittori italiani che si conoscano

Nessun Vasari ha tramandato la cronaca della sua vita…

Della vita e delle vicende personali del Pittore di Micali ignoriamo tutto. Anche il suo nome, come spesso avviene nella pratica attribuzionistica, è fittizio. Sir John D. Beazley, che l’ha coniato, intese ricordare, con questa designazione, Giuseppe Micali, famoso storico dell’Italia preromana, vissuto nell’età risorgimentale.

Nessuno dei vasi pervenuti è firmato, e molto probabilmente il Nostro era un artigiano affatto illetterato; dal momento che non si sono conservate iscrizioni del tipo egraphsen o epoiesen, non è possibile neppure affermare se producesse egli stesso i vasi che dipingeva.

Siamo in grado, invece, di distinguere un certo numero di cosiddetti “seguaci”; studiosi più prudenti di me preferiscono parlare di “Gruppo” piuttosto che di “Pittore di Micali”, ipotizzando una bottega artigiana ove erano attivi diversi ceramografi accomunati da notevole affinità stilistiche.

Una volta ammessa l’effettiva impossibilità di decidere se in qualche caso un determinato pezzo appartenga al “maestro” o piuttosto a un “seguace”, continueremo a indicare sotto la dizione “Pittore di Micali” tutte quelle opere che costituiscano un corpus stilisticamente omogeneo. Sono realmente convinto che abbiamo davanti a noi una figura di artista ben definita, della quale potremo cogliere la peculiarità più facilmente di quanto non accada, ad esempio, con Fidia o Lisippo: ma in ultima analisi ciò non ha molta importanza.

Attualmente si conoscono all’incirca duecento vasi del Pittore di Micali sparsi in collezioni di tutto il mondo, da Tolfa a Toledo, da New York a Leningrado, e nuovi reperti continuano a emergere in Etruria da scavi autorizzati o clandestini.

Si tratta di un numero decisamente notevole per un pittore vascolare del VI sec. a.C.: si pensi, per confronto, alla trentina di pezzi assegnati a Exekias o ai centotrenta del Pittore di Amasis.

Sulla base di ciò che resta delle anfore panatenaiche (settore nel quale possiamo ipotizzare quale fosse in antico la reale richiesta di vasi), si è calcolato che soltanto l’uno per cento della produzione ceramografica attica sia giunto fino a noi.

Tale percentuale potrebbe forse essere elevata – tentativamente proporrei un dieci per cento circa – per un pittore etrusco, i cui vasi erano talora commissionati per essere deposti in tombe nelle immediate vicinanze della bottega (Vulci è il luogo di rinvenimento attestato con maggiore frequenza per i vasi del Pittore di Micali).

Su questa base il corpus delle opere del Pittore di Micali toccherebbe le 2000 unità, cifra tutto sommato credibile se riferita a un artigiano attivo almeno per venticinque anni, tra il 525 e il 500.

Su che basi ipotizziamo un’attività di un quarto di secolo per il Pittore di Micali? La risposta è semplice: sulla base del suo stile e della sua produzione. Si tratta, ovviamente, di dati relativi, vincolati in ultima analisi alla datazione della ceramica attica: ma poiché non sono stati prodotti a tutt’oggi elementi convincenti in grado di mutare la cronologia dei vasi attici, la datazione proposta per il Pittore di Micali ci sembra abbastanza sicura, confrontata anche dai corredi tombali noti, che indicano gli ultimi decenni del VI e forse il primo del secolo successivo. […]