Incontro con Carlo Peretto La voce della storia

Archeologia Viva n. 126 – novembre/dicembre 2007
pp. 82-84

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«La vicenda dell’uomo è un’unica storia di milioni di anni»

«L’inizio della lavorazione sistematica della pietra segna il momento della grande affermazione umana»
«La scheggiatura è parallela al linguaggio e possiamo individuarvi i singoli “fonemi”»
«Il fissismo è uno schema mentale molto utile»
«Il senso forte di appartenenza al gruppo ha permesso alla nostra specie di vincere sulle altre e conquistare i continenti»

Da sempre prezioso collaboratore di Archeologia Viva, fra i primi a credere nel ruolo della rivista e a entrare nel comitato scientifico, insieme al collega paletnologo Antonio Guerreschi, con cui l’antropologo Carlo Peretto all’inizio della carriera ha condiviso il lavoro di ricerca e la stessa stanza di università. Poi ognuno per la sua strada.

Peretto viene dalla terra del Polesine e da una famiglia dove l’archeologia stava di casa, con il padre Rodolfo, un maestro di scuola elementare che nelle ore libere si portava Carlo e il fratello Raffaele – questo per trent’anni direttore del Museo di Rovigo – a fare ricerca sui campi del delta padano.

Mani che hanno sempre “lavorato” la terra per leggerne gli strati, la mente proiettata quotidianamente nel gioco dei milioni di anni che ci divide dalle origini della nostra specie e la ferma convinzione che la scienza debba essere comunicata, per informare e formare le nuove generazioni, i ricercatori e i cittadini di domani.

Oltre agli scavi che Peretto dirige a Isernia La Pineta /AV nn. 5 e 107) e a Ca’ Belvedere di Monte Poggiolo (AV n, 57), due siti paleolitici fra i più antichi e importanti d’Europa, e a un numero imprecisato di pubblicazioni scientifiche, ci piace ricordare il suo impegno come segretario generale del XIII Congresso internazionale di scienze preistoriche e protostoriche, svoltosi a Forlì nel 1996 con un successo organizzativo e di partecipazione mai visto – e mai ripetutosi – per questo massimo appuntamento mondiale con il passato lontano dell’umanità.

Il professore ci riceve nel suo studio all’Università di Ferrara, dove dal 2004 è preside della Facoltà di Scienze Matematiche e Fisiche Naturali. Sulla scrivania posata una copia dell’Atlante della Creazione, del turco Harun Yahya (Adnan Oktar), un enorme, costosissimo volume pubblicato in ben nove lingue per “provare” che l’evoluzione è una fandonia e che il «darwinismo è la base principale di tutte le dannose tendenze che hanno portato terribili calamità all’umanità dei nostri tempi», come si legge nell’introduzione. «Dopo tutto – commenta Peretto – quando tocchiamo l’origine dell’uomo ci troviamo ancora a dover contrastare teorie religiose in veste scientifica. Ma non scoraggiamoci…».

D: Un grande protagonista scomparso della ricerca preistorica in Italia, Antonio Radmilli, non voleva sentir parlare di Preistoria, ma solo di Storia. Era infatti dell’idea che esistesse solo la Storia dell’uomo, dalla formazione della specie a oggi…

R: Io penso che, per convenzione e utilità didattica, il termine Preistoria si possa mantenere. È un modo ormai consueto di indicare il lunghissimo periodo che precede l’invenzione della scrittura. Ma non c’è dubbio che la vicenda dell’uomo sia un’unica “storia” di milioni di anni, anche se per la parte più antica questa “storia” emerge solo da ricerche sul campo di resti antropologici e di oggetti pervenutici, appunto, dalle epoche “preistoriche”.

D: sulla base delle conoscenze attuali qual è il momento della “creazione”?
Quando si può cominciare a parlare di uomini e non più di ominidi?

R: Un momento determinante è l’inizio della lavorazione sistematica della pietra, due milioni e mezzo di anni fa. Non tanto perché questa aumenta in misura incredibile le capacità d’intervento dell’uomo sull’ambiente, quanto perché la scheggiatura dimostra una sua logica, una sequenzialità progettata: non è un fatto meccanicistico, un’azione semplicemente ripetitiva. A torno usiamo il termine “primitivo” per definire i primi manufatti.

L’inizio della lavorazione della pietra sancisce uno spartiacque, soprattutto in termini di capacità di fare cose che poi diventano patrimonio comune, entrando nella tradizione e nella cultura. È questo, se vogliamo, il momento della “creazione”, il momento dell’uomo che non è più ominide.

La prima attività strumentale è in sostanza una sorta di linguaggio. Le azioni manuali si susseguono modificate e poste in successione in modo diverso proprio come si compone il linguaggio articolato: come tanti pezzettini, fonemi, che in una certa sequenza esprimono un concetto. Non a caso c’è chi dice che il linguaggio articolato e l’attività strumentale vadano di pari passo.

Tuttavia, l’apprendimento, la conoscenza, la capacità di tramandare certe esperienze non appartengono solo al genere umano. Chiunque abbia in casa un cane o un gatto si accorge che molte delle cose che questi animali fanno sono apprese, le ripetono.

Lo stesso universo che ci circonda funziona su leggi che rappresentano una sorta di memoria continua e stabile nel tempo. Analogamente i fenomeni che avvengono sul nostro pianeta, come quelli chimici, sono il risultato di “memorie” che si attuano nelle configurazioni degli atomi e delle molecole e nel ciclo di particolari processi come quello del carbonio… La differenza sta nel fatto che negli esseri viventi, come noi, esistono due tipi di memoria: una, quella del DNA, comune a tutti, comprende le informazioni per così dire basilari e primitive; l’altra, quella individuale, è legata alla consapevolezza e indirettamente alla cultura.

E una memoria “profonda”, che entra nella tradizione. Ecco che la scheggiatura della pietra, la produzione di strumenti, la costruzione di una capanna o di un focolare diventano un patrimonio che si tramanda e che fa parte integrante della cultura dell’uomo. La cultura rappresenta per l’uomo la vera nicchia ecologica.

D: Cosa lega tutte queste memorie?

R: Il linguaggio ha una funzione più profonda di quanto si possa credere. Ciò che cuce insieme i vari elementi di una società è proprio la capacità di comunicare, trasmettendo una sequenza di suoni logicamente articolati in grado di esprimere una rappresentazione materiale, un’idea, oppure un concetto. Se è vero che il linguaggio articolato e attività strumentale sono figli di un unico sistema, l’uno insieme all’altra determinano la comparsa del nostro modo di pensare. La cultura non è alto che l’insieme di tutte quelle conoscenze tecnologiche, cultuali, storiche, spirituali che si tramandano nelle generazioni.

Quando vedo l’attività strumentale dell’uomo “primitivo” vedo un concetto, una memoria, l’identificazione di un gruppo, l’appartenenza a un’etnia… Quegli oggetti vengono fatti allo stesso modo da tutti gli appartenenti a un gruppo. Posso distinguere gli oggetti della preistoria sulla base di una sequenza cronologica, allo stesso modo di come tutti noi distinguiamo, anche sul piano estetico, oggetti prodotti in secoli diversi. Ogni oggetto è espressione di una cultura, perché si contestualizza nell’epoca in cui viene realizzato. Trovo l’uomo nei suoi oggetti.

D: A parte la tecnologia, cosa distingue l’uomo dalle altre specie animali?

R: L’uomo si riconosce nel momento in cui è consapevole della propria esistenza e sa rispettare l’esistenza degli altri. Sono convinto che questo nostro modo di pensare sia sostanzialmente quello dei primi sapiens. La base della loro organizzazione sociale era come la nostra.

D: Quali sono stati nella storia i passaggi più importanti nello studio dell’evoluzione dell’uomo e del suo contesto?

R: Un cambiamento epocale avviene nel Cinquecento quando qualcuno, Galileo, inventa il metodo sperimentale, ovvero la conoscenza scientifica. Da questo momento i passi avanti sono moltissimi e rapidi. Nel 1856 nella valle di Neander, presso Düsseldorf, avviene la scoperta del primo cranio di uomo considerato nostro antenato.

Al 1859 risale L’origine della specie di Darwin, mentre nel 1866 Mendel formula le leggi sull’ereditarietà. È l’evoluzionismo che si contrappone al fissismo, alla vecchia idea che le specie non possano trasformarsi in altre e restano “fisse” nelle loro caratteristiche. Comunque possiamo risalire molto indietro nel tempo per individuare una sorta di primordiale concetto fissista del mondo che ci circonda.

Infatti già con i primi uomini anatomicamente moderni, agli albori del Paleolitico superiore , possiamo intravedere quei “segni” (arte, decoro, musica, ritualità…) che definiscono un forte senso di appartenenza dei singoli al gruppo. Il senso del divenire diventa allora statico in quanto permeato dalla solidarietà sociale e dallo sviluppo di percorsi di facilitazione definiti con regole inalienabili che non si possono cambiare nel tempo per non creare elementi di disomogeneità nel gruppo di riferimento.

È probabile quindi che in questa fase trovi la sua origine quella che oggi noi conosciamo col termine di “etnia”, che garantisce protezione comune per i suoi membri e quindi un vantaggio assoluto in termini di competitività rispetto ai singoli individui o ai gruppi più o meno isolati. Non è casuale che anche oggi se c’è qualcuno in difficoltà della tua stessa etnia sei più propenso a dargli una mano.

Questa visione della vita della conseguente solidarietà sta alla base di una interpretazione statica e fissista della realtà, ratificata anche da quella che comunemente chiamiamo morale; solo in questo modo è possibile offrire stabilmente nel tempo comode garanzie per tutti.

Ecco che certezza quali la casa, il lavoro “fisso”, la sicurezza economica in un mondo privo di cambiamenti significano vivere meglio e anche vivere di più. Scopriamo che il fissismo è un utile schema mentale e che il gruppo “forte”, statico nella sua organizzazione e nella sua cultura, è avvantaggiato in termini di sopravvivenza. Per questo l’evoluzione, dimostrata in modo innegabile sotto il profilo scientifico, deve sempre faticare per farsi riconoscere in una società fortemente strutturata.

D: Quali sono le svolte più importanti nella storia evolutiva?

R: Una svolta fondamentale l’abbiamo già vista: è quella che vede la nascita dei primi strumenti due milioni e mezzo di anni fa. Poi c’è la scoperta del fuoco, almeno mezzo milione di anni fa, con la quale cambia ancora in modo radicale il rapporto tra uomo e ambiente: una vera rivoluzione per tutta l’umanità. Altro passaggio importante è la nascita di un’etnia forte, quella di Homo sapiens, dell’uomo ancor più colonizzatore e conquistatore che si impone sul pianeta.

D: Arriviamo appunto al popolamento dei continenti. Possiamo stabilire delle date di “arrivo”?

R: I primi uomini giungono in Europa probabilmente già un milione e cinquecentomila anni fa. Sono gruppi che partono dall’Africa e poi evolvono in modo differente. In Europa ad esempio abbiamo Homo antecessor, poi Homo heidelbergensis e Homo neanderthalensis, dal nucleo africano di Homo ergaster, in Asia centrale evolve e si diffonde Homo erectus. La seconda ondata dall’Africa è quella dell’uomo moderno, di Homo sapiens, che arriva in Europa a partire da 40.000 anni fa, vera discontinuità rispetto agli uomini di Neanderthal che scompaiono nel giro di qualche millennio.

Riepilogando: abbiamo una prima ondata migratoria dall’Africa un milione e mezzo di anni fa. Questa ha una sua evoluzione e in Europa si chiude con l’Uomo di Neanderthal, che viene soppiantato da un nuovo arrivo dall’Africa: l’uomo anatomicamente moderno, la nostra specie.

D: L’America è stato l’ultimo continente colonizzato…

R: L’uomo moderno non solo colonizza Europa e Asia, ma sconfina nelle Americhe, nelle isole del Pacifico, in Australia, avvalendosi spesso di “passaggi” facilitati durante le ere glaciali quando le terre emerse erano molto più estese. In America, passando dallo stretto di Bering, Homo sapiens si diffonde già a partire da trenta 30.000 anni da oggi. Ma non si deve pensare a migrazioni come le intendiamo noi. È probabile che già una ventina di chilometri all’anno di avanzamento fossero molti. Più che migrazione sarebbe meglio parlare di diffusione progressiva e lenta nel tempo.

D: Qual è l’ultima grande scoperta che ci aggiorna sulla “storia” dell’uomo?

R: Ce ne sono diverse, ma voglio ricordarne una a casa nostra: quello di Pirro Nord, in Puglia ad Apricena. Si tratta di un giacimento risalente a circa un milione e mezzo di anni che retrodata di molto la presenza dell’uomo in Europa; un ritrovamento che ci informa di come la nostra storia sia complessa e forse molto meno africana di quelli che si possa pensare. Prima si diceva “tutti in Africa” e solo molto più tardi l’espansione. Oggi siamo in grado si dire che il nucleo formativo dell’uomo è sempre africano, ma che l’espansione avviene molto presto, quasi da subito.

D: Passiamo a qualche dettaglio. Come mai scompaiono i neandertaliani?

R: I Neandertaliani e gli uomini moderni per centomila anni hanno fatto le stesse cose, gli stessi strumenti, le stesse strategie di caccia e di sussistenza. Da un lato l’uomo di Neanderthal, dall’altro noi, i sapiens. Nel Vicino Oriente i livelli archeologici possono essere riferiti agli uni o agli altri soltanto sulla base del ritrovamento di resti scheletrici. Dunque vuol dire che vivevano allo stesso modo.

Poi a partire da almeno 40.000 anni fa, uno sovrasta l’altro e si diffonde con rapidità estrema, conquistando tutti i continenti. È Homo sapiens, che cambia e si evolve moltissimo sul piano culturale, comportamentale e tecnologico dal momento in cui modifica la propria organizzazione sociale.

La nascita del senso forte di appartenenza al gruppo, lo stesso che oggi abbiamo, consente una maggiore competitività e adattabilità ad ambienti differenti diventando elemento dominante, assoluto e unico. In questa nuova e più articolata configurazione sociale risiede il motivo del successo della nostra specie in grado, pur nella sua differenziazione in un numero infinito di etnie, di essere vincente in ogni luogo.

D: Un dibattito che sembra concluso e che invece è ancora bene acceso: quello fra creazioni ed evoluzionisti…

R: I creazionisti, sostengono il fissismo, non accettano l’evoluzione. Credono che le forme di vita siamo state tutte create e qualcuna poi si sia estinta. I fossili, secondo questo modo di vedere le cose, non sono mai forme di transizione, ma fini a se stessi. Sempre secondo questa teoria Homo habilis non sarebbe un nostro progenitore, ma una scimmia che si è estinta e noi, Homo sapiens, siamo così perché siamo stati creati così. Invece ci sono le prove sia paleontologiche che genetiche che l’evoluzione esiste. A seconda dell’ambiente le variazioni possono essere positive o negative.

Il trend del nostro processo evolutivo vede una riduzione del numero dei denti, l’accorciamento dell’arto superiore e un aumento considerevole della capacità cranica. Potremmo ritenere che in futuro saremo senz’altro più gracili, con ossa meno robuste, con un apparato masticatore ancor più ridotto e forse una scatola cranica ancora più grande.

D’altra parte il trend evolutivo dell’aumento del cervello è comune a tutte le scimmie. Se si studiano i primati si noterà un costante aumento di capacità cranica verso forme più evolute e più recenti. Noi, uomini di oggi, siamo all’interno di questo trend evolutivo generale.

D: L’uomo dunque si è evoluto dalla scimmia?

R: L’uomo è una scimmia. Noi e le scimmie attuali abbiamo dei progenitori comuni che erano delle scimmie. Siamo evoluto da scimmie fossili che sono i nonni anche dei nostri “cugini” gorilla e scimpanzé.

D: L’ultimo “ritrovato” dell’evoluzione può essere la capacità dell’uomo di manipolare il suo DNA. Mettere il cacciavite nella centralina di comando a cui finora non aveva avuto accesso. La capacità di modificare se stesso…

R: L’uomo è riuscito a comprendere come funziona l’evoluzione. Questo è un grande vantaggio; il rischio è l’assenza di una cultura adeguata. Mi fa paura che si possa clonare l’uomo. La sua dimensione più bella è proprio la diversità. Mentre vi stavo aspettando in stazione c’era gente di tante etnie: cinesi, giapponesi, africani. Un nero e una nera si stavano salutando, si davano dei baci, si prendevano in giro… L’uomo deve rimanere così, evolvendo naturalmente come nel passato.