Indimenticabile sesto incontro AV VI Incontro AV

Archeologia Viva n. 126 – novembre/dicembre 2007
pp. 74-77

di Piero Pruneti

Si consolida la grande tradizione degli “incontri nazionali di Archeologia Viva”: il sesto della serie è stato un susseguirsi ininterrotto di comunicazioni emozioni e spettacolo

L’immagine ormai consueta di un auditorium da milleduecento posti pieno già alle otto di mattina si è ripetuta fedelmente il 25 febbraio scorso, quando il professor Guido Vannini, uno dei primi collaboratori nei ventisei anni di vita della rivista, ha aperto la giornata presentando il suo progetto per il castello crociato di Shawbak in Giordania, una grande avventura della ricerca archeologica italiana all’estero.

Ricorderò solo alcuni momenti che, per la loro particolarità, rimarranno nella storia degli incontri di Archeologia Viva: l’entrata in sala di Alfredo e Angelo Castiglioni, che con la loro simpatia e capacità comunicativa hanno travolto tutto, il tempo disponibile, le difese del pubblico ipnotizzato al termine di una mattinata intensissima, il servizio d’ordine che non riusciva a contenere la folla di quanti volevano l’autografo sul loro libro Nubia.

Magica terra millena­ria (ed. Giunti); poi le terribili maschere sarde dei Mamuthones, che hanno saltato, primitivamente danzato, impaurito, comunicato tutta la durezza e l’originalità del passato barbari­cino; infine, l’”ultimo faraone vivente”, come si definisce scherzando – ma non troppo –, Zahi Hawass, accolto da un’ovazione solo al suo affacciarsi in sala: voglia del personaggio, di foto a braccetto, e lui che non si sottrae, sempre ben conscio del proprio enorme potere da Alessandria ad Abu Simbel senza dimentica­re le oasi, un vero fenomeno mediatico del nostro tempo, mai visto niente di simile nel mondo dell’archeologia.

E per finire il Tutankhamon di Brando Quilici. È inevitabile: dobbiamo chiedere un’ora di apertura straordinaria al Palacongressi. Fino alle venti nessuno lascia il proprio posto, compreso Sergio Giunti, l’editore, seduto in prima fila da dodici ore. Un giornalista delle pagine culturali di «El Pais» mi chiede dove abbiamo trovato un pubblico simile. […]