Longobardi: all’alba dell’Impero Tempi di invasioni

longobardi civiltà e archeologia all'alba dell'impero

Archeologia Viva n. 126 – novembre/dicembre 2007
pp. 46-57

di Gian Pietro Brogiolo

Oltre il mito e al riparo da una storiografia antica e moderna quasi sempre deformante il popolo succeduto ai Goti nel dominio della Penisola sta recuperando na dimensione concreta grazie all’apporto della ricerca archeologica

La loro vicenda (in mostra a Torino) di “emigranti conquistatori” si consumò in uno dei periodi più turbolenti d’Italia

Per costruire un’identità nazionale condivisa è sempre stato fondamentale elaborare una memoria storica nella quale proiettare le proprie lontane origini. Nel Risorgimento italiano, un’identità venne ricercata nell’età dei Comuni e nella loro vittoriosa opposizione all’impero germanico di Federico Barbarossa, il che significava rivendicare l’unità dell’Italia dall’impero austroungarico contro il quale, tra 1848 e 1866, vennero combattute le tre guerre di Indipendenza.

In quella temperie culturale, i Longobardi passarono nel fronte nemico, per cui furono dipinti come i più primitivi tra i barbari, distruttori della civiltà romana. Ma non era stato sempre così, nella storia d’Italia. A poco più di un secolo dalla fine del loro regno, distrutto nel 774 da un’alleanza tra il Papato e i Franchi, il re d’Italia Berengario li rivalutava opponendosi all’egemonia degli eredi d’Oltralpe dell’impero carolingio. E nel XIV secolo, gli Scaligeri e soprattutto i Visconti, nel momento in cui aspiravano a costruire stati sovraregionali, ne rivendicarono una legittima eredità.

Tra le due guerre mondiali, il nazismo si preoccupò di rintracciare in giro per l’Europa le testimonianze dei popoli germanici per giustificare il folle tentativo di espansione continentale messo in atto da Hitler.

Alcuni archeologi tedeschi si prestarono al gioco ricercando nei corredi funerari l’impronta di quei popoli che a partire dal V secolo si insediarono nei territori dell’impero d’Occidente. Impronta che si sarebbe conservata a lungo distinta rispetto a quella dei vinti Romani.

In questi ultimi decenni il tema delle identità nazionali ha perso d’interesse, soppiantato dai problemi del rapporto tra culture diverse, innescati dagli attuali imponenti flussi migratori che vanno ridefinendo la composizione etnico culturale delle nazioni europee.

In un processo nel quale sono in discussione gli equilibri raggiunti nei secoli che seguirono la caduta dell’impero romano, lo studio dei Longobardi è stato assunto come paradigma della reciproca acculturazione tra il meno romanizzato tra i popoli germanici e i Romani del territorio italiano che era stato la culla dell’impero. Con la consapevolezza che su questi temi poco di nuovo hanno ormai da dirci le fonti scritte, nella loro lacunosità e sovente contraddittorietà.

Quali, tra le notizie che ci ha trasmesso Paolo Diacono, ci rappresentano meglio l’identità di quel popolo? L’immagine truculenta del re Alboino che costringe la moglie Rosmunda a bere nella coppa ricavata dal cranio del padre, da lui ucciso in battaglia o quella del medesimo sovrano che tratta con il vescovo Felice la resa di Treviso, affidando poi l’osservanza dell’accordo a un documento scritto nella sua cancelleria?

Quella dell’ariano Alachis che arringando i suoi nella cruciale battaglia di Cornate promette di riempire le coppe con i testicoli dei chierici che appoggiavano il cattolico Cuniperto, o quella di Liutprando sotto il cui regno, nella prima metà dell’VIII secolo, l’Italia longobarda raggiunse un alto livello di civiltà artistica e di prestigio europeo? […]