Archeologia Viva n. 126 – novembre/dicembre 2007
pp. 30-39
di Umberto Pappalardo
Nell’antichità – molto più di oggi – si credeva nella possibilità di leggere il futuro riposto nella mente degli dei
Dqui la popolarità di maghi e indovini a cui si rivolgeva chiunque intraprendesse un’impresa pubblica o personale Famosa nel Mediterraneo divenne la Sibilla di Cuma ma chi veramente sia stata e dove si trovasse il celebre “antro” rimangono due affascinanti enigmi dell’archeologia
Nel mondo antico molti erano gli indovini e i profeti che nel nome di un dio emettevano predizioni. Presso le sedi oracolari era diffusa la credenza che fossero esistite anche alcune interpreti femminili della parola divina, non soggette al passare del tempo, isolate dal mondo e poco inclini a mostrarsi; queste erano le Sibille.
La Pizia di Delfi è il caso più noto, ma lo scrittore latino Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) ne elencò dieci: la persiana, l’eritrea (da Eritre, in Lidia), l’ellespontia, la frigia, la cimmeria, la libica, la delfica, la samia, la cumana e la tiburtina (alcune raffigurate da Michelangelo nella Cappella Sistina). Addirittura qualcuno pensava che si trattasse di un’unica Sibilla, immortale, che si spostava nei diversi luoghi.
La Sibilla Cumana è una delle figure più affascinanti che emergano dalla letteratura latina e il carattere vulcanico della regione, quella dei Campi Flegrei, spiegherebbe la presenza di colei che prediceva il futuro interrogando gli dei inferi. La prima menzione è in Licofrone, un autore greco del III sec. a.C., ma essa appare già nel VI sec. a.C., quando – secondo la tradizione – Tarquinio il Superbo, re di Roma, avrebbe acquistato una cospicua raccolta di oracoli, i Libri Sibillini, scritti su foglie di palma e redatti in esametri greci.
Gli scrittori romani (Gellio, Varrone, Dionigi di Alicarnasso, Plinio il Vecchio) narrano tutti come la Sibilla avesse offerto nove libri a Tarquinio, il quale trovò il prezzo troppo elevato. Allora la Sibilla ne bruciò tre offrendogli di nuovo i sei rimasti. Tarquinio rifiutò e la Sibilla né bruciò altri tre. Infine il re, preoccupato dall’insolito procedere, accettò, acquistando gli ultimi tre volumi allo stesso prezzo dei nove originari.
Questi libri, il testo più importante della religione romana arcaica, venivano consultati in casi eccezionali dal collegio sacerdotale dei Quindecemviri. Custoditi nel tempio di Giove Capitolino, bruciarono nell’incendio del Campidoglio dell’83 a.C.: furono poi ricomposti – grazie alle raccolte degli oracoli conservate in Grecia e Asia Minore – e quindi collocati da Augusto nel tempio di Apollo sul Palatino poco lontano dalla sua abitazione. Qui rimasero sino al IV secolo, quando furono distrutti dal generale Stilicone. […]