Incontro con Franco Pacini La voce della storia

Archeologia Viva n. 125 – settembre/ottobre 2007
pp. 74-75

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«Una rivista di archeologia? Venite, venite, i nostri mondi non sono tanto distanti…»

«”Dio nell’alto dei cieli”: che c’entra l’astronomia?»

«L’astronomo è come l’archeologo: vede “dopo”»
«Le probabilità di altre forme di vita nell’universo sono buone ma non ne abbiamo la minima prova»
«Nel futuro della Terra non mi preoccupano le collisioni con altri corpi celesti ma il comportamento dell’uomo»
«Galileo segnò la fine del Medioevo dichiarando l’autonomia del metodo scientifico»

Siamo ad Arcetri, in un luogo mitico per l’astronomia, con il celebre osservatorio inaugurato nel 1872, ma anche con la memoria di Galilei che qui trascorse gli ultimi anni della sua vita, confinato nella villa “Il Gioiello” dopo la condanna per eresia.

Fa un caldo tremendo. In estate la campagna toscana non scherza. Franco Pacini, un’autorità mondiale dell’astrofisica, ci aspetta in cima alla collina nella sua stanza all’ultimo piano della sede dell’osservatorio, di cui è stato a lungo direttore.

Fiorentino come un’altra celebrità dell’astronomia, Margherita Hack, chiaro ed esplicito come lei (quando si parla di Ufo tutti e due usano il manzoniano “baggianate”: «È tempo ora di dir codeste baggianate?»…). Colpisce la semplicità del linguaggio e dei modi, la passione e il tempo che Pacini spende per trasmettere le nozioni più elementari mentre lavora a progetti di avanguardia nello studio dell’universo.

Ci rendiamo conto che gli scienziati veri conservano la curiosità e l’entusiasmo dei bambini. Un mondo di grandi menti e di alta tecnologia dai contorno naïf. Così Pacini ci parla del cosmo non presentandoci incomprensibili tabulati elettronici, ma indicandoci disegni su un libretto, tradotto anche in cinese e in arabo, che ha scritto per i ragazzi. Lo sfoglia mentre parla e ci fa vedere le figure… Quando gli abbiano chiesto l’appuntamento, non si è meravigliato: «Una rivista di archeologia? Venite, venite, i nostri mondi non sono tanto distanti…». Alla fine gli chiediamo una foto accanto al telescopio, ci sembra ovvio. Invece è l’unica cosa che ci rifiuta: «Non fatemi salire sulla cupola, ci saranno cinquanta gradi. La prossima volta…».

D: Una volta lei ha affermato che l’archeologo e l’astronomo svolgono un lavoro simile perché entrambi svolgono un lavoro simile perché entrambi “scavano” nel passato.

Per l’archeologo è chiaro, per l’astrofisico cosa significa?

R: È vero, sembra un’affermazione paradossale , perché si è portati a pensare ce chi guarda dentro un telescopio – uno strumenti che avvicina – veda “prima”, veda “avanti”. No. Anche l’astrofisico , come l’archeologo, vede “dopo”. Ed è facile capirlo. La luce che ci arriva dalle stelle o dalle galassie impiega un certo tempo per arrivare fino a noi. Quando dall’universo riceviamo un messaggio, questo è sempre in ritardo; di quanto è in ritardo dipende dal tempo che il fenomeno ci mette, alla velocità della luce, per trasportarci l’informazione.

Nel caso del Sole, se si spengesse, noi continueremmo a vederlo per otto minuti perché la luce degli ultimi strati continuerebbe a viaggiare. Se prendiamo la stella più vicina, la Proxima Centuari, distante 40 miliardi di chilometri, il tempo che la sua luce impiega ad arrivarci è di quattro anni. Ci sono galassie lontane quattordici miliardi di anni luce, dunque se noi stasera le osserviamo al telescopio non le vedremo come adesso, ma come erano quattordici miliardi di anni fa quando partì la luce che ci arriva ora.

In questo senso l’astronomo vede il passato. Certamente la tecnica è diversa, ma il risultato è lo stesso: raccogliere informazioni su quanto è stato. La costruzione degli ultimi telescopi ci consente di vedere un universo sempre più lontano e sempre più antico.

D: Allora questo significa che nel tempo, nello spazio, è fissata ed è “visibile” l’immagine dell’uomo preistorico?

R: Ha già capito. Se in questo momento qualcuno stesse sulla galassia di Andromeda con a disposizione strumenti talmente efficaci da mettere a fuoco i particolari sulla Terra, non vedrebbe noi qui, ma gli abitanti del pianeta due milioni di anni fa mentre scheggiano la pietra. Sarebbe uno spettacolo interessante. È quasi drammatico che tutto ciò appartenga nello stesso tempo alla realtà e all’impossibilità.

D: L’uomo è solo nell’Universo? Nella sua lunga esperienza di osservatore del cosmo ha mai avuto la sensazione di altre presenze intelligenti?

R: Non sappiamo se l’uomo sia solo. Ma prima di tutto bisogna intenderci su cosa vuol dire vita. Sulla Terra la vita è segnata anche dall’esistenza di microbi che si trovano a venti chilometri di profondità e che si nutrono di metano… Sarebbe comunque molto stano che il fenomeno biologico esistesse solo sul nostro pianeta. Ma quale aspetto può assumere la vita in altri mondi? In passato, l’astronomo era colui che si poneva alla ricerca di nuovi corpi celesti.

Oggi le domande dell’astronomia puntano a comprendere l’universo che ci circonda, com’è nato, come si è evoluto, se un giorni finirà. Come si sono formati la Terra, il sistema solare, le stelle, le galassie. E, soprattutto, com’è nata la vita e perché ha preso una certa direzione? Non mancano teorie secondo le quali la vita sulla Terra sarebbe […]