L’incontenibile piacere del verde L'uomo e la natura

verde pompei giardini

Archeologia Viva n. 125 – settembre/ottobre 2007
pp. 18-27

di Fabrizio Paolucci

Le civiltà storiche hanno inventato il giardino come luogo che consente agli uomini della città di non rinunciare al piacere ancestrale della vita nella natura

Una soluzione ideale celebrata da filosofi e intellettuali ma fino ai giorni nostri accessibile solo a pochi privilegiati

Secondo Plinio il Vecchio (Nat. Hist. 19, 51) si deve a Epicuro, padre di un’etica fondata sul piacere edonistico, l’invenzione del primo giardino così come noi l’intendiamo. Fu lui, il «magister otii», maestro di un vivere senza preoccupazioni, a dotare la sua casa di uno spazio verde, creando un precedente destinato a segnare l’architettura e la cultura dell’Occidente. La portata dello “scandalo” epicureo risulta, però, difficile da comprendere se non si ripercorre quella che fu l’origine del giardino di diletto, nato dalla costola di quei semplici orti che, da secoli, affiancavano – e ancora oggi affiancano – le abitazioni dei contadini.

La gloria del sovrano di riflette nel verde “inutile”

Non vi sono dubbi che la pratica di coltivare piante in appezzamenti vicini a casa nasca con le prime civiltà urbane nella valle del Nilo e in Mesopotamia. Occorrerà però del tempo, perché questi fazzoletti di terreno accuratamente lavorati e irrigati si carichino di nuovi significati perdendo ogni carattere utilitaristico.

Il palazzo reale di Mari, lungo l’Eufrate, risalente ai primi secoli del II millennio a.C., costituisce il primo esempio noto di uno spazio verde realizzato all’interno di un complesso architettonico. Sorprende che, sin da quest’epoca così remota, al giardino venga riservato un ruolo focale, affacciandovisi gli ambienti di rappresentanza, inclusa la sala del trono.

È importante rilevare come, già in questo antichissimo esempio, piante e giochi d’acqua costituissero un binomio indissolubile: nel vestibolo della sala del trono di Mari era collocata una statua di divinità femminile, con in mano un recipiente dal quale un rivolo d’acqua scivolava sulle vesti.

Da questo momento, in Mesopotamia, le aree della lussureggiante vegetazione adiacenti o intere ai palazzi divennero una costante. Anche grazie a questi spazi verdi il sovrano manifestava la sua potenza. L’assiro Tiglat Pileser I (1114-1067 a.C.), ad esempio, piantò in prossimità del suo palazzo cedri, querce e alberi da frutto provenienti dai quattro angoli del suo regno col preciso intento di esibirne la vastità.

Non dissimile nelle intenzioni fu anche il grandioso progetto di Assurnasirpal II, che non si limitò a circondare per venticinque chilometri quadrati la cittadella reale di Nimrud con migliaia di piante di quarantuno specie diverse fatte portare da tutto l’impero assiro, ma vi ambientò ogni genere di animale selvatico, tanto da far meritare al complesso il nome di “parco universale”.

Queste foreste artificiali, che presupponevano grandiose canalizzazioni per consentire l’allignamento di piante da habitat ben diversi dall’arida Assiria, debbono essere considerate, al pari dei rilievi e delle sculture, veri e propri monumenti celebrativi della politica del sovrano.

Splendida utopia dei giardini pensili

Grazie alle conoscenze botaniche di questa illustre tradizione assira dei parchi reali prenderanno forma i giardini pensili di Babilonia, una delle meraviglie del mondo. Lascia, però, interdetti constatare che fra tutti i sovrani succedutisi in Mesopotamia nel I millennio a.C., proprio Nabucodonosor II (605-566 a.C.), sotto il cui regno l’opera sarebbe stata realizzata, sia fra i pochi a non essere mai ricordato come costruttore di giardini.

Sorge il dubbio che la notizia di Berosso, sacerdote babilonese vissuto alla corte del sovrano seleucide Antioco I (281-261 a.C.), secondo cui i giardini furono voluti da Nabucodonosor per ricreare un paesaggio familiare alla sua regina originaria della Media, sia quanto meno dubbia. […]