Incontro con Piero Bartoloni La voce della storia

Archeologia Viva n. 122 – marzo/aprile 2007
pp. 74-75

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«I Fenici avevano alle spalle alte montagne e davanti il Mediterraneo aperto: come non divenire grandi navigatori?»

«Colonizzarono a ovest e lì sorse Cartagine»

«L’alfabeto non fu tutta farina del loro sacco»
«Tra Fenici e Punici tante guerre fratricide»
«Quei famosi boschi di cedro portarono ricchezza e rovina»
«I Romani vinsero i Cartaginesi copiando una flotta e comprando il loro principale alleato»

Ordinario di Archeologia fenicio-punica all’Università di Sassari e allievo prediletto del punicologo Sabatino Moscati, il professor Bartoloni (Piero il Fenicio, per gli amici e gli allievi affezionati) ha ereditato dal grande maestro l’attenzione estrema al dato archeologico – «non si fa scienza senza prove oggettive», ripete sempre – e al dovere della divulgazione, cioè di «spiegare cosa stai facendo con il tuo lavoro di archeologo alla gente comune che paga le tasse per consentirti di fare ricerca».

Se gli chiedi cosa pensa delle teorie di Sergio Frau (colonne d’Ercole retrocesse al Canale di Sicilia, Atlantide identificata con la Sardegna, gli Etruschi come eredi del popolo dei nuraghi in fuga da uno tsunami che tremila anni fa spazzò l’isola…), risponde che «si può scrivere tutto quello che si vuole perché in Italia c’è libertà, ma diecimila articoli non fanno una prova. Non si può transigere, altrimenti torniamo a prima di Galileo. D’altronde, la Storia è stata come è stata e non come ci piace immaginarla».

Attualmente dirige gli scavi a Zama Regia, in Tunisia, e a Sulcis e Monte Sirai, in Sardegna. È direttore scientifico del Museo di Sant’Antioco (Ca), membro del Comitato nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, del Corpus delle antichità fenicie e puniche dell’Union Académique Internationale e dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente. Di recente è entrato nel comitato scientifico di Archeologia Viva.

D: Professore, cominciamo da una domanda semplice semplice, che certamente le avrammo già fatto a scuola da piccolo. Quand’è che i Fenici si affacciarono nella storia e qual è la regione dove si sviluppò la loro cultura?

R: I Fenici sono un ethnos che a partire dall’età del Ferro troviamo nella fascia costiera siro-palestinese, nel territorio oggi corrispondente al Libano e alla parte settentrionale d’Israele.

D: È dunque un popolo che deve la sua fortuna al rapporto con il mare e ai commerci marittimi…

R: Dal punto di vista geografico il Libano è un’esigua striscia di costa, serrata da montagne con vette fino a tremila metri. Monti altissimi alle spalle e il Mediterraneo spalancato davanti: è evidente che le città fenicie nascano con una grande vocazione marinara. Inoltre, il territorio è povero, senza materie prime, che devono essere cercate altrove.

D: I famosi cedri del Libano sono un mito o appartengono all’economia reale di questa terra?

R: Le foreste di cedro che coprivano i monti del Libano, e delle quali quasi non esiste più traccia, costituirono una fortuna e una maledizione per le città fenicie. Il cedro è un legno longevo e profumato, ricercatissimo in Mesopotamia e in Egitto, dove praticamente l’unico albero disponibile è la palma.

I Fenici si arricchirono con questi boschi, indispensabili fra l’altro per la costruzione delle flotte, ma è vero anche che proprio il bisogno di legname causò l’invasione degli Assiri prima, dei Babilonesi e dei Persiani poi. Invasioni che tra VIII e VI sec. a.C. porteranno alla fine del Libano fenicio. Si trattò, come succede ancora oggi, di guerre commerciali giustificate con necessità inderogabili di conquista. La storia in questo è monotona. Del resto per spostare tonnellate e tonnellate di tronchi di cedro bisognava pur mobilitare gli eserciti… […]