Archeologia Viva n. 120 – novembre/dicembre 2006
pp. 72-75
Intervista di Giulia e Piero Pruneti
«Gli Etruschi erano un popolo diverso ma com’erano diverse le altre genti italiche: un’alterità della norma»
«La fine? Era annunciata nell’individualismo delle città-stato»
«La loro riscoperta inizia con l’Umanesimo quando letterati e politici ne fecero un modello di vita civile»
«L’Etruria si staccò dall’Europa preistorica per intercettare il flusso di civiltà dal mediterraneo orientale»
«Dettero un alfabeto ai primi “italiani”»
Allievo prediletto di Giacomo Devoto, uno dei massimi linguisti italiani, e Luisa Banti, insigne etruscologa. Il suo interesse per gli Etruschi è nato, dunque, dalla lingua. Dal grande maestro gli derivava probabilmente la cura estrema dell’espressione. È un piacere leggerlo e sentirlo parlare. Fra gli archeologi non è sempre così. Ora è anche lui un “massimo esponente”. Dell’Etruscologia. Quella ufficiale, di derivazione in buona parte pallottiniana. Imperturbabile: non si lascia trascinare nelle polemiche. Un argine di fronte alla marea di quanti propongono origini esterne e unilaterali.
Sicuro: l’ethnos etrusco si è formato in Etruria in un processo storico che ha saputo recepire componenti e influssi diversi, come avviene per tutte le grandi civiltà. Da oltre trent’anni ordinario di Etruscologia e Archeologia italica all’Università di Firenze. Dal 1997 presidente dell’Istituto nazionale di studi etruschi e italici.
I suoi primi interessi sono rivolti all’epigrafia e alla storia politica dell’Italia antica: le magistrature italiche, l’organizzazione politica degli Etruschi, l’alfabeto delle iscrizioni umbre. Un campo da lui molto studiato è stato l’Orientalizzante, un periodo che Camporeale ritiene rivoluzionario, come ripete nell’intervista, e a cui ha dedicato, oltre a vari articoli, due monografie: La tomba del Duce (1967) e I commerci di Vetulonia in età orientalizzante (1969). Largo il suo interesse per i temi iconografici, di origine sia mitologica sia realistica: basta citare il volume su La caccia in Etruria (1984) o ricordare il suo impegno al Lexicon iconographicum mythologiae clasicae come collaboratore e come membro del Comitato scientifico dal 1976 e come presidente nel quadriennio 1992-1996.
Si è occupato anche della cultura di Orvieto etrusca: recente l’ampio saggio L’artigianato artistico volsiniese (2003). Notevoli i contributi sulla produzione del bucchero, fra cui emerge La collezione C.C. Impasti e buccheri (1991).
Negli ultimi anni l’impegno di Camporeale è rivolto soprattutto allo scavo dell’abitato etrusco dell’Accesa (Massa Marittima-Gr), un insediamento di VII-VI sec. a.C. nel cuore delle Colline Metallifere. I risultati sono esposti in diverse monografie: L’Etruria mineraria (1985), L’abitato etrusco dell’Accesa. Il quartiere B (1997), Il parco archeologico dell’Accesa a Massa Marittima (2000). Degna di particolare menzione è la sintesi Vita privata degli Etruschi, edita in un volume miscellaneo (Rasenna, 1986).
Le recenti opere d’insieme, Gli Etruschi. Storia e civiltà (2000 e 2004) e Gli Etruschi fuori d’Etruria (2001), di cui sono state pubblicate traduzioni rispettivamente in tedesco e in inglese, fanno il punto su tanti aspetti della civiltà etrusca proponendo anche nuove prospettive di studio.
D: Come possiamo definire, in estrema sintesi, la civiltà etrusca?
R: È certamente la più grande civiltà fiorita nel bacino occidentale del Mediterraneo nell’ultimo millennio a.C., prima dell’affermazione della civiltà romana.
D: Rispetto ad altri popoli protagonisti della medesima epoca, Fenicio-Punici, Egiziani, Greci…, sono individuabili delle specificità etrusche?
R: Certe forme di vita civile erano simili a quelle di altri popoli, geograficamente o culturalmente contigui, a prescindere dalle differenze di lingua e razza. Ci sono analogie nei modi di vivere, ma nel contempo una buona dose di diversità. Non a caso Dionigi di Alicarnasso, alla fine del I sec. a.C., definisce gli Etruschi «un popolo a nessun altro simile».
L’affermazione sottolinea le peculiarità di un popolo che si distingue per religione, lingua, arte, usi e costumi dagli altri gruppi etnico-linguistici dell’Italia antica, ma che vive esperienze che maturano anche in altri popoli.
Pensiamo all’organizzazione cosiddetta democratica, cioè a quando finiscono le aristocrazie e comincia la repubblica. Questo è un fatto che coinvolge Roma e gli Etruschi, pur trattandosi di due compagini diverse etnicamente e linguisticamente. Ma era una diversità nella norma, come oggi fra italiani e francesi.
D: Dunque, almeno per un certo periodo, si può dire che le esperienze politiche degli Etruschi siano state parallele a quelle di altri popoli mediterranei…
R: Indubbiamente. Pensiamo alla tirannide. Già nel VI sec. a.C. ad Atene abbiamo Pisistrato e poi i figli di Pisistrato. Andiamo a Cuma e troviamo Aristodemo, andiamo a Roma e troviamo Tarquinio il Superbo, definito tale proprio per il carattere del suo governo autoritario. Se ci spostiamo in Etruria, a Chiusi troviamo Porsenna, a Cerveteri (l’antica Caere) Thefarie Velianas. Siamo sempre nella seconda metà del VI secolo. Sono esperienze politiche simili che interessano vari popoli, mettendoli tutti sullo stesso piano.
D: Se è vero che gli Etruschi sono nostri antenati, in cosa consiste la loro eredità?
R: L’interesse per questo popolo nasce dell’Umanesimo, agli esordi della cultura moderna. In tale momento, specialmente a Firenze, si verifica una grande apertura nei confronti degli Etruschi, che diventano una sorta di modello culturale. I poteri politici dell’epoca cercano un avallo alla propria affermazione rifacendosi alla civiltà etrusca.
L’umanista Poggio Bracciolini in una lettera ai perugini, del 1389, li invita a imitare gli Etruschi nel processo di rinnovamento civile e morale. Ai primi del Quattrocento, Leonardo Bruni dedica il primo libro delle sue Storie del popolo fiorentino alla vita delle città etrusche, della cui storia valorizza moltissimo il periodo repubblicano.
Bruni sostiene che con l’avvento dell’impero si ha la fine di ogni forma di libertà essendo lui, segretario della Repubblica fiorentina, un convinto assertore delle istituzioni repubblicane. Gli Etruschi diventano la base, il background della cultura letteraria, ma anche politica del tempo.
Quando a Firenze cambia la forma di governo, cioè si passa dalla repubblica alla signoria e poi al principato dei Medici, il richiamo sarà sempre agli Etruschi, ma a Porsenna, che era un re. Cosimo I de’ Medici inizia a raccogliere statue che provengono da siti etruschi, come la Minerva e la Chimera di Arezzo, l’Arringatore. Addirittura lo stesso Cosimo, quando riceve dal papa il titolo di granduca (1569) si fa chiamare Magnus Dux Etruriae.
Il fascino della civiltà etrusca non viene meno con il Risorgimento, così l’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria” fa affiggere per le vie di Firenze dei manifesti con cui invita la cittadinanza a contribuire alle spese di scavo nelle città etrusche. Per invogliare i donatori ci si rifà ad alcuni passi di autori antichi, come Tito Livio, dove si dice che gli Etruschi avevano un potere che andava dalle Alpi allo stretto di Messina: un’Italia unita sotto la cultura etrusca, pertanto un valido antefatto all’unità d’Italia! Il risultato fu che i fiorentini, ben noti per la lesina, dettero diversi soldi per ricerche archeologiche che furono fatte a Chiusi, a Sovana e in altri centri antichi.
Nel 1985, l'”anno degli Etruschi”, la storica azienda fiorentina Richard Ginori realizzò una serie di vasi in porcellana ispirandosi alla produzione etrusca… Non c’è dubbio che, specialmente in Toscana, il sottofondo culturale etrusco è rimasto. Per non parlare di alcune parole passate nella lingua italiana: una per tutte ‘satellite’, sviluppatosi dal latino satellitem, ripreso a sua volta probabilmente da un etrusco zatlath. […]