Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 120 – novembre/dicembre 2006

di Piero Pruneti

Sul precedente numero di Archeologia Viva abbiano dedicato un ampio articolo all’Opificio delle Pietre Dure, un istituto fondato dai Medici ormai “vecchio” di oltre quattro secoli, che, caso più unico che raro a livello europeo, non è diventato museo di se stesso, ma, pur conservando in alcune sale espositive la memoria del suo splendido passato, costituisce una realtà ai primi posto nel mondo per tecnologia e professionalità nel settore del restauro.

Sempre il numero scorso riportava uno speciale sul Bronzo di Lussino, ritrovato sui fondali dell’isola croata in condizioni disastrose e restituito alla piena leggibilità grazie al patrimonio operativo messo a disposizione dall’istituto fiorentino, e proprio per i meriti di quest’ultimo concesso in mostra esclusiva al capoluogo della Toscana (fino a tutto gennaio in Palazzo Medici Riccardi). Ma il nostro è davvero uno strano Paese.

Mentre il mondo celebra questo ritrovamento di un capolavoro dell’arte antica e, insieme, il “miracolo” di un restauro condotto dall’Opificio grazie a un bagaglio di capacità a cui attingono le maggiori istituzioni museali italiane e straniere, arriva dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali la notizia che, in una ennesima riorganizzazione generali dei propri uffici, lo stesso Opificio non avrà più la dignità di istituto di livello dirigenziale, ma sarà accorpato, con l’Istituto Centrale del Restauro, l’Istituto Centrale di Patologia del Libro e il Centro Fotoriproduzione e Legatoria degli Archivi di Stato, tutti a Roma, in un unico dipartimento, nelle competenze di un unico dirigente, naturalmente con sede a Roma.

Non occorre aver mangiato pane e volpe per capire che scelte simili, diversamente dal valorizzare una realtà operativa che tanti Paesi ci invidiano, sottraendole autonomia dirigenziale, mirano a un ridimensionamento di ruoli se non alla fine per asfissia della storica istituzione.

Non si riesce a capire se queste belle idee vengano direttamente dai titolari politici del Ministero (Rutelli ne sa qualcosa?) o appartengano più semplicemente a una scelta dell’apparato romano in vena di “razionalizzazioni” e di… risparmi, del tutto incongrui, quando si lasciano inalterate strutture assai più costose come le Direzioni regionali, da più parti considerate quanto meno inutili. Forse è solo ignoranza. Forse, come disse qualcuno, “non sanno quello che fanno”.

Piero Pruneti 

direttore di “Archeologia Viva”