Bronzo di Lussino: un atleta con lo strigile Mostra a Firenze

Archeologia Viva n. 119 – settembre/ottobre 2006
pp. 46-56

di Vincenzo Saladino e Maurizio Michelucci

La statua recuperata nelle acque dell’isola croata che ritrae un giovane nell’atto di pulirsi subito dopo la gara è la copia fedele di un prestigioso archetipo del IV secolo a.C. prodotto da un artista greco probabilmente attivo in una città dell’Asia Minore

Dopo l’impegnativo restauro condotto presso l’Istituto di Restauro di Zagabria l’opera viene esposta a Firenze a riconoscimento della preziosa collaborazione offerta dall’Opificio delle Pietre Dure

Il 5 giugno 1896, durante gli scavi condotti dall’archeologo austriaco Rudolph Heberdey nel quartiere del porto di Efeso, fu trovata la statua bronzea di un atleta, che, pur essendo ridotta in un gran numero di frammenti, appariva di notevole qualità. Della scoperta venne data immediatamente notizia sulla stampa, ma il compito di curarne la pubblicazione scientifica se lo riservò il più prestigioso archeologo austriaco dell’epoca, Otto Benndorf, che, sentendo prossima la sua fine, voleva legare il proprio nome alla statua.

La pubblicazione vide la luce nel 1906, un anno prima della morte dell’autore, e appare ancora oggi esemplare. I 234 frammenti del bronzo erano stati recuperati sul pavimento del portico di un vasto cortile, forse una palestra, vicino all’ingresso di una sala rivestita di marmi, probabilmente dedicata al culto imperiale. La loro costruzione, iniziata all’epoca di Domiziano (81-96 d.C.), si inseriva in un ampio programma edilizio promosso da alcuni mecenati locali, tra i quali spiccava Tiberio Claudio Aristione, definito da Plinio il Giovane princeps Ephesiorum.

In questi edifici l’affluenza del pubblico era notevole in ogni periodo dell’anno, ma toccava l’apice in occasione delle competizioni agonistiche che si tenevano nella città, alle quali si erano aggiunte le olimpiadi locali, introdotte al tempo di Domiziano. Qui, secondo la tradizione, Apollonio di Tiana, celebre filosofo pitagorico e taumaturgo, avrebbe avuto la visione della prossima morte di quell’imperatore.

Vista la ricchezza di Efeso, era scontato che si trattasse di costruzioni sontuose: della qualità della loro decorazione può dare un’idea il ritrovamento di altri importanti bronzi e dei frammenti di due gruppi in basanite, raffiguranti la sfinge che divora un giovane tebano, copie di quelli che decoravano il trono dello Zeus di Olimpia, capolavoro di Fidia. Di altre sculture non è rimasta traccia, ma ci sono giunte iscrizioni che ne attestato la presenza.

Dopo essere stati portati a Vienna, i frammenti dell’Atleta furono ricomposti, usando come modello il calco di un statua degli Uffizi, sulla quale torneremo. Il restauro ricevette grandi plausi, ma ben presto apparve evidente che richiedeva alcune correzioni, eseguite molti anni dopo (1948-1951) su indicazioni di un altro famoso archeologo austriaco, Fritz Eichler, che voleva modificare la posizione del braccio destro.

In occasione dell’apertura dell’Ephesos Museum di Vienna (1977) fu valutata anche la possibilità di un risanamento più radicale della statua, ma il suo smontaggio presentava vari rischi, specie per quei frammenti che la corrosione aveva reso più fragili, e venne perciò rimandato.

Le copie ritrovate dell’atleta con lo strigile

Sull’atleta trovato a Efeso sono state espresse opinioni diverse, ma fin dall’inizio apparve chiaro che si trattava di un tipo statuario già noto, alla cui conoscenza aveva contribuito la pubblicazione di una statuetta, scoperta a Frascati e finita a Boston.

La scultura, lavorata in marmo greco e databile entro la prima metà del II sec. d.C., appare ben conservata: la sua mano destra stringe ancora l’impugnatura di uno strigile, ossia di uno di quegli strumenti metallici muniti di una lama ricurva, di regola concava, che dopo le gare gli atleti passavano sui loro corpi unti d’olio, per detergerli. Non è questo, però, il gesto raffigurato nella statuetta di Boston, perché tra il pollice e l’indice della mano sinistra rimane parte della lama dello strigile (in questo caso di marmo), che l’atleta stava pulendo dall’impasto di polvere, olio e sudore.

Un’altra versione dello stesso tipo statuario, coeva di quella di Boston, era da tempo famosa, poiché si trattava di una scultura degli Uffizi, già ricordata in una lista pubblicata dal Vasari nel 1568, nella quale l’artista aveva elencato i marmi, che al tempo di Cosimo I erano collocati nella Sala delle Nicchie di Palazzo Pitti. La qualità di questa statua è notevole, ma l’atteggiamento è stato alterato da un restauro cinquecentesco, al quale si deve l’integrazione degli avambracci e l’aggiunta di un vaso di marmo, tenuto tra le mani.

Allo stesso tipo statuario sono riconducibili alcune copie in marmo di formato ridotto, risalenti ai primi due secoli dell’Impero, e un bel torso in basanite trovato a Castel Gandolfo, che potrebbe essere stato eseguito espressamente per la decorazione della villa imperiale, costruita in quella località al tempo di Domiziano (81-96 d.C.).

La basanite è una roccia egiziana di colore scuro e durissima, che richiedeva molto tempo e fatica per essere lavorata; ad essa usavano ricorrere gli scultori romani quando l’originale greco, che intendevano copiare, era di bronzo o di un altro materiale di colore scuro, come l’ebano nel quale erano lavorate le due sfingi che sostenevano i braccioli del trono dello Zeus di Fidia.

Anche della testa dell’Atleta di Efeso ci sono pervenute alcune copie in marmo, alle quali si è aggiunta recentemente quella di bronzo acquistata dal Kimbell Museum di Fort Worth (Texas), che nel Settecento era appartenuta alla collezione veneziana della famiglia Nani, ricca di marmi e iscrizioni provenienti dalla Grecia, acquisite grazie agli incarichi politici e militari che i membri di quella casata vi avevano ricoperto.

Nella statua di Lussino il gesto di pulirsi la mano

Nelle acque croate dell’Adriatico, tra l’isola di Lussino e l’isolotto di Orjule, è stata scoperta nel 1997 una nuova versione in bronzo dell’atleta con lo strigile, le cui proporzioni sono le stesse delle statue di Vienna e Firenze. Anche l’atteggiamento è simile a quello delle altre copie, ma rispetto all’Atleta di Efeso l’avambraccio destro appare meno piegato. Questo dato è importante, perché ci aiuta a recuperare la posizione originaria delle mani e quindi a capire il gesto compiuto dall’atleta.

Secondo alcuni la mano destra della statua viennese non avrebbe potuto impugnare lo strigile in modo che il pollice e l’indice della mano sinistra riuscissero a pulirne la lama, come avviene nella statuetta di Boston già citata. Se ne è quindi dedotto che l’atleta fosse piuttosto un apoxyomenos, intento a detergere il dorso della mano sinistra (o il polso): in tal caso la statuetta americana non sarebbe una copia di formato ridotto dell’originale (l’archetipo in bronzo), ma una variante, frutto dell’autonoma iniziativa di uno scultore romano.

Nella stessa direzione sembrano indirizzarci alcuni esperimenti compiuti sulla statua di Lussino, sui quali grava però l’incertezza relativa al tipo di strigile che doveva impugnare l’atleta. L’ipotesi più probabile è che lo strigile fosse del tipo a L, raffigurato in molti rilievi funerari attici, nei quali assieme al defunto con lo strigile compare spesso un cane, la cui presenza accanto ai giovani, che oltre all’atletica praticavano la caccia, non costituisce una sorpresa. In alcuni rilievi sembra addirittura che il cane sia impegnato a leccare la mistura oleosa, che cadeva a terra dopo essere stata rimossa dallo strigile. […]