Tutto l’argento di Pompei Mostra a Napoli

Archeologia Viva n. 118 – luglio/agosto 2006
pp. 20-27

di Laura Guasti

L’eruzione del Vesuvio fu così rapida e micidiale da non lasciare neppure il tempo di mettere in salvo l’argenteria di casa

Così ci sono arrivati interi splendidi servizi a esemplificare un costume diffuso presso le famiglie ricche di tutto il mondo romano

Gli ambasciatori dei Cartaginesi dichiararono che non c’era popolo in cui si vivesse con più reciproca benevolenza che tra i Romani; da tutti quelli presso cui erano stati a cena essi avevano trovato lo stesso servizio di argenteria».

Così Plinio il Vecchio (Naturalis Historia 33, 143) ricorda, non senza ironizzare sugli eccessi del suo tempo, una Roma ormai lontana, dove la diffidenza verso l’ostentazione del lusso aveva sorpreso i Cartaginesi, che nel III sec. a.C. si erano visti riproporre, per le successive cene con le varie famiglie nobili romane, sempre lo stesso servizio raccolto tra le poche argenterie presenti in città.

Plinio non è certo il solo che assume un tono moralizzante verso un gusto che stava divenendo perverso: ben presto l’amore per l’argento scatenerà una corsa all’esibizione che molti scrittori antichi contrapporranno alla severità del mos maiorum, il costume degli antenati.

A partire dal II sec. a.C. la conquista dell’Italia meridionale e della Sicilia, che fece affluire a Roma le straordinarie ricchezze della Magna Grecia, le campagne in Oriente, che introdussero nell’Urbe una gran quantità di oggetti preziosi e un nuovo stile di vita più incline ai piaceri, e soprattutto la presa di Numanzia, che sancì il definitivo possesso delle miniere d’argento della Spagna, diffusero l’uso di vasellame d’argento presso le famiglie nobili. Fino a che la moda non divenne addirittura eccesso. […]