Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 118 – luglio/agosto 2006

di Piero Pruneti

Il relitto della nave che nella seconda metà del XIV sec. a.C. colò a picco mentre doppiava la punta anatolica di Uluburun, dopo giorni di navigazione da un porto siro-palestinese e ormai in vista dell’Egeo, ci riporta a un mondo che coinvolge.

L’occasione per parlare della sensazionale scoperta, avvenuta nel già lontano 1982, è data dalla mostra al Museo di Bochum, in Germania, dedicata ai commerci “internazionali” nell’età del Bronzo. E non si tratta della pubblicazione tardi­va di un ritrovamento famoso, perché la quantità e la varietà della merce trasportata erano tali che restauri e studi sono ancora lontani dalla fine.

La suggestione sta tutta in quel segmento di storia mediterranea che la nave di Uluburun ci spalanca davanti: in Egitto si consumava il coraggioso tentativo “monoteista” di Amenofi IV/Akhenaton, gli Ittiti dominavano l’Anatolia, Creta e la Grecia erano micenee, Troia era uno stato potente, Cipro si arricchiva in ogni modo, ma in particolare riforniva tutti di rame, il metallo strategico, una lontana isola a occidente si copriva di nuraghi.

Erano realtà che guidavano il corso della storia e che si incontravano lungo una fitta serie di rotte percorse da “navi” che a noi sembra­no fuscelli, dove protagonisti erano nocchieri capaci di attraversare il mare guardando solo il cielo e la terra quando era in vista.

Il relitto di Uluburun ci fa capire, sognare… Ma anche riflettere sull’importanza che la ricerca subacquea riveste per la ricostruzione del mondo antico, con particolare riferimento ai rapporti economici sulle lunghe distanze, fra popoli diversi e protagonisti.

Per cui tanto maggiore e irreparabile ci appare il danno recato alla comprensione della storia dal saccheggio andato avanti per decenni nei fondali mediterranei, a partire dalle coste della nostra Penisola, dove peraltro non è mai stata impostata una seria politica di difesa e d’indagine dei beni culturali sommersi.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”