Musa pensosa: intellettuali e dee del sapere Uomini e divinità

Archeologia Viva n. 117 – maggio/giugno 2006
pp. 34-45

di Fabrizio Paolucci

Da numi tutelari della trasmissione delle conoscenze a ispiratrici del “furore poetico” le Muse sono state per tanti secoli le discrete compagne di ogni uomo di pensiero

Ricostruire la loro immagine è ripercorrere il complesso divenire dei concetti di arte e di scienza con cui l’umanità è riuscita a stabilire il punto di massima vicinanza con il mondo degli dei

Sopravvivere nel ricordo dei posteri era, sia per i Greci che per i Romani, l’unica forma di immortalità alla quale un uomo potesse aspirare. Solo la memoria era in grado di dilatare i ristretti confini dell’esistenza tramandando nel tempo le gesta e l’operato dei mortali. Persino gli dei erano consapevoli che, senza ricordo, la loro gloria sarebbe stata incompleta, sminuita.

Zeus, al termine della creazione del cosmo, chiese agli altri abitanti dell’Olimpo cosa avesse dimenticato, e gli immortali gli risposero che mancava solo la divinità destinata a celebrare per sempre la sua magnifica opera, facendo giungere all’orecchio delle future generazioni degli uomini l’eco di tale impresa. Fu così, secondo il mito ripreso da Pindaro nel perduto Inno a Zeus, che nacquero le Muse.

Canto e musica, due aspetti inscindibili dell’antica tradizione poetica greca, furono, sin dal primo momento, le attività alle quali presiedettero le nuove dee. Questa “specializzazione” non deve certo stupire, poiché, nella Grecia arcaica del VII-VI sec. a.C., proprio ai poeti, ai vati e agli aedi spettava il compito di eternare eventi, eroi e nobili imprese.

La storia, trasfigurata nella poesia e nel canto, era dunque affidata esclusivamente alla voce degli uomini di cultura che, di generazione in generazione, ne tramandavano il ricordo. La centralità della memoria nella trasmissione del sapere in una fase storica anteriore all’introduzione della scrittura è, del resto, un concetto che traspare con chiarezza anche nel mito. […]