Incontro con Valerio Massimo Manfredi La voce della storia

Valerio Massimo Manfredi - Selinunte: ricostruire o no il tempio G?

Archeologia Viva n. 115 – gennaio/febbraio 2006
pp. 74-75

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«Al mio “Alessandro” ho lavorato tutto d’un fiato per dieci mesi»

«Uomini che si spendono senza economia: nei miei protagonisti c’è un preciso senso dell’esistenza»
«La storia è un moto complesso che può cedere al caos»
«L’impero romano non seppe darsi una costituzione e questo avvantaggiò decisamente i nemici esterni»
«Emerge una costante dal comportamento della specie umana: la pretesa di un mondo migliore»

Emiliano nel midollo. Lo troviamo alla fine di un labirinto di strade nella bassa modenese, nella casa dov’è nato e che un improbabile addensamento di alberi, ancora lussureggianti di colori autunnali, chiude alla vista della grande pianura. D’inverno, quando c’è gelo e neve, qui si ha la sensazione delle solitudini russe, anche se sono vicine le case di Piumazzo. E lo scrittore se ne avvantaggia.

Valerio Massimo ci viene incontro con il suo Lupone, un pastore tedesco ormai abituato anche lui alle visite e alle foto in posa. Ne facciamo subito una sullo sfondo verde, dove il ben noto caschetto di capelli candidi del conduttore di Stargate risalta alla grande.

Chiede di un amico comune, un po’ geniale, un po’ avventuriero, che non si vede da anni: l’ultima volta è stata segnalato nel deserto del Sinai che guidava un fuoristrada senza targa… Scherza l’autore di Alexandros, ma non troppo. È ironico, ma diventa facilmente sarcastico. Ama la dimensione comica, ma sa che la grandiosità dei fatti, dei fondali, dei personaggi si esprime quasi sempre nella tragedia. Si è troppo immerso, Manfredi, nell’intimo storico e psicologico dei suoi protagonisti per ridere del mondo senza inquietudine. Senza dimenticare la grandezza e la miseria di cui sono capaci gli uomini.

Valerio Massimo Manfredi è professore di archeologia alla Bocconi di Milano; ha pubblicato numerosi saggi e i seguenti romanzi: Palladion, Lo scudo di Talos, L’Oracolo, Le Paludi di Hesperia, La Torre della Solitudine, Il Faraone delle Sabbie, Alexandros, Chimaira, L’Ultima Legione, Il Tiranno, L’Impero dei Draghi.

D: Conosciamo il tuo passato. Eri archeologo e sei diventato scrittore. Famoso. Com’è avvenuta la metamorfosi?

R: La scintilla è scattata durante il periodo universitario quando con gli amici andavamo in giro per il mondo alla scoperta delle civiltà antiche. Tutto il Nord Africa, la Grecia, l’Asia minore, l’Afghanistan… In quel momento penso siano nati contemporaneamente l’archeologo e lo scrittore, solo che il secondo non sapeva ancora di esserci. Qualche tempo dopo un piccolo editore di Bologna mi chiese di scrivere un romanzo. Questa esperienza mi fece capire che ero in grado di costruire una storia e infatti, l’anno dopo, mentre ero sullo scavo di Lavinum, a Pratica di Mare, mi venne l’idea di quello che sarebbe stato il mio romanzo di esordio, Palladion.

D: E Alessandro dopo quanti romanzi è venuto?

R: Alexandros è stato il mio settimo libro, tradotto in trentuno lingue e diffuso in cinquantatré paesi, fra cui Corea, Taiwan, Israele, Giappone, Iran… In tutto mi sembra che siano quattro milioni e mezzo di copie.

D: Questo significa che Alexandros presenta il personaggio e la tematica che più ti appartengono?

R: Non so se è così. Alla fine è un’esperienza che considero conclusa. Alexandros è stata una stagione molto bella, esaltante. È un libro che ho scritto tutti d’un fiato, in un tempo record. Sono quasi millequattrocento pagine. Mi ero subito reso conto che se non facevo così non ce l’avrei fatta. Come si può affrontare una figura come quella di Alessandro? Da dove si comincia? Che cosa decidi di raccontare e cosa lasciar perdere?

È una materia immane e dunque andava presa di petto. Disponevo però di un materiale enorme, accumulato durante la mia consulenza per il progetto del film di Oliver Stone, con tutta l’iconografia, le iscrizioni, i particolari del vivere quotidiano…, e decisi di iniziare la mia avventura. Ho lavorato dieci ore al giorno per dieci mesi e alla fine è nato “Alessandro”.

D: Nel libro qual è il rapporto tra realtà e fantasia? Insomma, ci possiamo fidare del tuo “Alessandro”?

R: Questo aspetto non ha alcuna importanza, in quanto stiamo parlando di un’opera di letteratura, non di un saggio. Se voglio ricostruire la figura storica di Alessandro devo andare nelle biblioteche, leggere le biografie scientifiche, le fonti, tutte le note a piè di pagina, sudare, faticare, soffrire. Questo è il modo. “Alessandro” è un romanzo e procede per emozioni, mentre il saggio storico avanza per problemi.

Poi se chi scrive il romanzo è un professionista del mondo antico o comunque uno storico o archeologo è chiaro che la vicenda che ne esce sarà aderente alle fonti in maniera quasi maniacale, ma i fatti storici saranno riportati in modo molto più complesso di come si possa fare in un saggio. E questo perché il saggio scientifico ha sempre due dimensioni: quella cronologica (è accaduto prima o dopo) e quella politica (è accaduto per questo o per quest’altro motivo). […]