Lo Spinario Capitolino Obiettivo su...

Archeologia Viva n. 115 – gennaio/febbraio 2006
pp. 64-67

di Paolo Moreno

La testa del celebre bronzo del Palazzo dei Conservatori rivela il suo segreto tanto da poter essere attribuita a un artista di Lemno: Alcamene il Vecchio

In occasione di una recente visita in Inghilterra del presidente Ciampi è stato esposto a Londra lo Spinario Capitolino: l’insolita trasferta ne ha riproposto il gemellaggio con alcuni monumenti presso raccolte britanniche, che risultano fondamentali per l’interpretazione dell’arcano personaggio. Passando dalle collezioni imperiali alla proprietà dei papi in Laterano, il celebre bronzo non ha conosciuto interro.

Imitato fin dal Medioevo con una serie di affascinanti adattamenti figurativi, nel 1471 fu concesso dal pontefice Sisto IV al popolo romano. Seduto su un rialzo roccioso, il ragazzo piega la gamba sinistra sull’altro ginocchio per estrarre una spina dalla pianta del piede.

L’ebreo Beniamino figlio di Giona, da Tudela in Navarra, nel 1165 lo identificò con Assalonne: la descrizione biblica del figlio di Davide coincideva con l’atteggiamento dello Spinario, che ostenta un piede al centro della composizione, e con la ricchezza della capigliatura, fatale nell’avventura del ribelle: «Assalonne era bellissimo d’aspetto e non c’era in tutto Israele uomo più avvenente di lui, dalla pianta dei piedi fino alla chioma non aveva difetti» (Re, 2, 14, 25).

All’inizio del Duecento fu considerato un Priapo; si diffuse poi la leggenda del pastorello Marzio, che correndo avrebbe portato al Senato romano un messaggio prima di liberarsi dalla spina, e la statua diventò simbolo del mese di Marzo. Alla fine dell’Ottocento si parlò di un vincitore nella gara della corsa: senza risolvere il soggetto, la letteratura archeologica estese l’incertezza al giudizio critico.

Chi ha dato credito al disegno della testa ha assegnato l’opera all’inizio della classicità; chi si è orientato sulla libertà della posa ha proposto la corrente alessandrina nutrita di poesia idillica: il compromesso ormai accettato è la datazione al 50 a.C. quale opera di un artista neoclassico. […]