Incontro con Antonio Paolucci La voce della storia

Archeologia Viva n. 114 – novembre/dicembre 2005
pp. 72-74

Intervista di Giulia e Piero Pruneti

«Sono convinto che il Michelangelo del nuovo millennio vedrà la luce in una parte del mondo dove si incrociano culture diverse»

«Il “genio” romano non si espresse nell’arte ma in altri ambiti»
«Si stanno dissolvendo i vecchi linguaggi e uno nuovo ancora non è nato: la nostra epoca è un momento di passaggio»
«L’arte è la storia che si fa figura»
«I grandi capolavori ammirati e incomprensibili ai più sono stelle fisse che sostituiscono le ideologie declinanti»

Un uomo brillante. Capace di infiammare le platee che lo ascoltano. Lo abbiamo visto all’ultimo Incontro Nazionale di Archeologia Viva, lo scorso febbraio, quando mille persone in piedi gli hanno battuto le mani per cinque minuti al termine di un suo intervento sulla “Gloria dei Medici”. E lui che quando finisce di parlare, tutto rosso e sudato, sembra uscire da uno stato di trance e si guarda intorno spaesato in quel frastuono di applausi.

Questa volta siamo andati a trovarlo nel suo ufficio fiorentino, agli Uffizi, dove ci accoglie semisepolto da una montagna di libri e riviste che gli arrivano da tutto il mondo.

Paolucci non si sottrae alle domande. Si può parlare di tutto, perché tutto quello che riguarda l’uomo può diventare arte, quel momento sublime in cui la vita e la storia ci parlano attraverso le “immagini belle” che l’uomo stesso è capace di creare.

Antonio Paolucci, riminese, si è laureato in Storia dell’arte nel 1964 con il grande Roberto Longhi. E’ stato soprintendente per i Beni artistici e storici del Veneto, poi a Mantova, Brescia e Cremona. In seguito ha tenuto la Soprintendenza dell’Opificio delle Pietre Dure per approdare infine all’incarico di soprintendente per i Beni artistici e storici di Firenze, Pistoia e Prato. Dal gennaio del 1995 al maggio del 1996 ha ricoperto la carica di Ministro per i Beni culturali nel Governo tecnico di Lamberto Dini. Dopo il sisma che ha colpito l’Umbria nel 1997 è stato nominato Commissario straordinario per la ricostruzione della basilica di San Francesco in Assisi. Dal 2002 è soprintendente speciale per il Polo museale fiorentino e dal 2004 è direttore Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Toscana.

D: Nella storia dell’umanità troviamo periodi più o meno felici per la produzione artistica. Quali sono stati i luoghi e i momenti “magici”?

R: Non sono stati pochi e la scelta rimane davvero difficile. Sicuramente l’Atene di Pericle, la Firenze di Lorenzo il Magnifico, la Roma di Leone X, la Parigi degli Impressionisti.

D: È possibile individuare delle costanti “ambientali” che determinano in qualche misura queste manifestazioni?

R: I picchi dell’arte si hanno nei momenti in cui il rimescolio delle idee, e le ideologie, le tensioni politiche sono particolarmente intensi. Quando succede qualcosa di nuovo, quando cambiano i linguaggi, i rapporti sociali, anche quelli “di classe” come avrebbe detto Karl Marx. Senz’altro i momenti “magici” dell’arte sono anche quelli più significativi della storia sociale, politica ed economica. Sono convinto che il Michelangelo del nuovo millennio, che sicuramente ci sarà, vedrà la luce in una parte del mondo in cui il linguaggio si sta modificando, si decompone, dove si incrociano culture diverse, dove si hanno società “aperte”, non quelle rinchiuse in se stesse e che della propria storia fanno una barricata…

In ognuno di noi nell’arco di una giornata frullano dieci milioni di immagini, di suggestioni per le cose e la gente che vediamo. Più sono gli stimoli che ci arrivano, più c’è la “probabilità statistica” che venga fuori l’idea geniale. Nella Firenze di Lorenzo il magnifico erano talmente diverse e importanti le suggestioni, che poteva venir fuori anche il giovane Michelangelo.

D: Dunque la potenza economica ha un suo valore nella produzione dell’arte e nella stessa formazione delle grandi personalità…

R: Non esiste arte senza un sistema economico che si rispetti. La Firenze di Giotto e Brunelleschi aveva una dimensione economica mondiale.

D: Eppure i Romani, che anche sotto il profilo economico raggiunsero una forza incredibile, non svilupparono al contempo un “genio” che si possa definire tale sul piano artistico…

R: Il “genio” romano, più che nell’arte, si espresse in altri ambiti: nel diritto, nell’ingegneria, nell’organizzazione amministrativa. Del resto è “geniale” anche colui che ha inventato per la prima volta il principio che per vincere una battaglia bisogna che ogni soldato stia al suo posto e faccia esattamente quello che gli è stato ordinato. Chi ha capito questo ha vinto le guerre e qualcuno lo ha inventato.

D: Esiste il “genio” al di sopra dell’ambiente? Insomma Michelangelo e Leonardo si sarebbero affermati comunque, anche se fossero nati da qualche altra parte?

R: Assolutamente no. Se, mettiamo, nascevano in Polonia non avrebbero fatto niente; magari sarebbero finiti a pitturare carretti… Se Andy Warhol fosse rimasto in Slovacchia, dove è nato, che faceva? Invece andando in America la velocità dei “processi combinatori” lo ha fatto diventare quello che è stato.

D: È corretto parlare di crisi dell’arte contemporanea?

R: Si può dire crisi, si può dire morte. […]