Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 113 – settembre/ottobre 2005

di Piero Pruneti

Imperversano tuttora le polemiche sul corret­to uso della scienza, un po’ in tutto il mondo occidentale, dove la ricerca da oltre due secoli avanza nei vari settori a ritmi esponenziali e sostanzial­mente senza ostacoli. Da noi in Italia lo scontro fra “scientisti”, “prudenti” e “oscurantisti” – credo sia necessario sfumare le posizioni in almeno tre passaggi – ha assunto toni da vera crociata in occasione del referendum sulla procreazione assistita, quando nel dibattito si sono riversati opinioni e atteggiamenti viscerali di ogni tipo che hanno ottenuto l’esito di creare un polverone dove chi non aveva idee chiare all’inizio tanto meno ne aveva alla fine.

È andata com’è andata: sul piano pratico chi ha soldi andrà all’estero per avere figli nel modo che deside­ra e chi non ha soldi se ne starà a casa. Sul piano teorico possiamo senz’altro affermare che difficilmente il risultato di un referendum, per di più in un singolo Stato, fermerà l’attività dell’homo sapiens e quella conseguente dell’homo faber, tanto per riportare il dibattito all’ambito che gli spetta, quello cosmico dell’evoluzione della specie, capace ora di interveni­re sugli stessi meccanismi che ne regol­ano i caratteri, secondo la ferrea logica interna al processo che ne ha segnato le tappe nei milioni di anni. Per chiarezza: homo sapiens è l’uomo nell’anelito della conoscenza, nella fase della ricerca pura, l’Ulisse dantesco; homo faber è l’uomo che applica le scoperte scienti­fiche a modi e mezzi per trasformare l’esistente.

Alla libertà d’azione del primo non ci sono ormai limiti imposti: dopo la lezione di Galileo si è imparato a non porre “riguardi” all’inna­to impulso dell’uomo a penetrare l’incognito, ad avvicinarsi all’albero della conoscenza. Per l’homo faber qualche problema c’è e – riconosciamolo – non a torto, visto che l’uomo “inventore” è arrivato a usare le conoscenze acquisite per costruire uno strumento autodi­struttivo come la bomba atomica. Ma questa considerazione morale sulla “giustezza” della ricerca applicata, nel medio e lungo termine – l’evoluzio­ne della specie non ha fretta – ha poco senso.

L’uomo non ha mai rinuncia­to a dispor­re degli strumenti che è stato capace di inventare, salvo poi effettiva­mente usarli applicando le categorie del bene e del male. Almeno da quando fu cacciato dal paradiso terrestre.

Piero Pruneti 

direttore di “Archeologia Viva”