Agrigento dai Greci ai Romani Parco Valle dei Templi

Luigi Pirandello: l’uomo e l’antica Agrigento

Archeologia Viva n. 112 – luglio/agosto 2005
pp. 40-67

a cura di Ernesto De Miro e Graziella Fiorentini

Il mondo greco ha lasciato sulla Collina dei Templi uno dei complessi architettonici più imponenti dell’antichità

Ma la storia urbanistica e politica di Akragas/Agrigentum va ben oltre quei suoi monumenti spettacolari per riassumere le vicende che nel bene e nel male coinvolsero per circa un millennio le maggiori potenze mediterranee

La storia più antica della futura Agrigento si pone nel contesto delle rotte mediterranee che nel XIII sec. a.C. coinvolgono le grandi isole dell’Egeo (Rodi, Cipro e Creta), come ci documentano i recenti scavi di Cannatello, sulla costa, qualche chilometro a est della foce del San Leone, l’antico fiume Akragas. In questa località sono venuti in luce resti di un villaggio della media età del Bronzo, con capanne circolari e quadrate, del tipo documentato a Thapsos nella Sicilia sudorientale.

Oltre a vasi di produzione locale, è stata rinvenuta una gran quantità di ceramica micenea di qualità finissima (XIV-XIII sec. a.C.), i cui caratteri denunciano la provenienza da Cipro, isola che sempre più rivela un ruolo di collegamento, attraverso gli emporî del Mediterraneo, tra l’Egeo e le regioni metallurgiche dell’estremo occidente. Sono rotte che si possono considerare un lontano precedente del movimento che nell’VIII e VII sec. a.C. diede origine agli insediamenti coloniali greci in Sicilia, tra i quali si annovera Gela, madrepatria di Akragas.

Tucidide, storico ateniese che scrive nella seconda metà del V sec. a.C., ci informa (Storie VI, 4, 4) che «circa cento otto anni dopo la fondazione della loro città i Geloi fondarono Akragas, denominando la città dal fiume; furono scelti come ecisti Aristonoo e Pistilo e alla colonia vennero date le istruzioni che erano proprie di Gela». La presenza di due scisti può spiegarsi con il fatto che uno di essi fosse originario di Gela (colonia rodio-cretese) e l’altro venuto direttamente da Rodi.

Questa duplicità di componenti etniche è sostanzialmente confermata dalle fonti che, accanto alla versione di Tucidide, tramandano quella di un altro storico greco, Timeo (circa 356-260 a.C.), secondo cui i coloni rodii fondatori di Akragas provenivano direttamente da Rodi, e tra essi gli Emmenidi, antenati di Terone. Polibio, vissuto nel II secolo a.C., attribuisce alla città una fondazione decisamente rodia (Storie IX, 27, 7) e attesta in Agrigento il culto di Zeus Atabyrios (dal nome del monte rodio, sede del tempio di Zeus).

Si può dunque pensare che nella fondazione di Akragas concorrano due interessi precisi, legati ad altrettante componenti etniche, l’una geloa, mirante all’espansione del territorio d’influenza di Gela (peraltro chiuso, a est, dalla fondazione siracusana di Camarina), l’altra direttamente da rodia, preoccupata di assicurarsi appoggi lungo la costa meridionale della Sicilia in direzione dei mercati occidentali.

A illuminare in qualche misura la complessa situazione della fondazione di Agrigento concorrono gli scavi condotti negli anni Quaranta dall’allora soprintendente Pietro Griffo nella necropoli scoperta sulla modesta altura di Montelusa, alla foce del fiume Akragas, i cui materiali (ceramica mesocorinzia e piatti rodii), alla luce delle più recenti interpretazioni, testimoniano un insediamento portuale che negli anni 582-575 a.C. si era attestato sul litorale akragantino a controllo degli interessi rodii lungo la costa mediterranea, contemporaneo alla città già presente sulla collina, come documentano alcune sepolture arcaiche (VI sec. a.C.) della necropoli Pezzino, nei pressi della stessa cinta urbana di Agrigento.

In questo senso si può spiegare la diretta collaborazione rodia al processo espansionistico di Gela lungo la costa nella sua “marcia” verso occidente, attraverso le tappe di Eknomos (Licata) e Daidalon (Palma Montechiaro), e sfociato nella fondazione di Akragas. […]