Con i Lettori Editoriale

Archeologia Viva n. 111 – maggio/giugno 2005

di Piero Pruneti

Anche quest’anno le soprintendenze archeologiche statali stanno svolgendo come meglio possono il tema espositivo loro assegnato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali: “Cibi e sapori nell’Italia antica”. Niente da dire sull’interesse che l’argomento può suscitare nel grande pubblico, offrendo l’occasione di avvicinarsi ai reperti stipati nei musei con il richiamo di testimonianze strettamente legate a un bisogno primario.

Gli anni scorsi i temi sono stati Sport e Moda, ora si parla di mangiare. Benissimo. I soprintendenti fanno, come sempre, il loro dovere e una dietro l’altra vediamo spuntare una lunga teoria di mostre che come prima reazione ispirano – mi si perdoni l’ironia gratuita – un senso di sazietà.

Da fuori sembrano tutte uguali. Poi capisci che non è affatto così, perché ogni grande o piccolo museo tratta l’argomento con un’angolazione diversa, con oggetti particolari e, cosa fondamentale, con l’impegno che sanno metterci i sempre più pochi e malpagati funzionari. Mi ha detto di recente un’amica archeologa: «Il Ministe­ro se ne approfitta, perché sa che facciamo per lavoro quello che comunque saremmo disposti a fare per hobby e così le nostre già caotiche ore di ufficio continuano a casa e nel tempo libero, e la baracca rimane in piedi».

Ma pur con l’entusia­smo che la generazione degli archeologi cinquantenni e sessantenni dimostra in simili circostanze, visitando questa nuova serie di mostre sul cibo se ne esce spesso con la convinzione che si vogliano fare – come si dice – le nozze con i fichi secchi: buone idee, soldi pochi o punti.

Del resto dove mai le soprintendenze, da anni in stato di indigen­za (con limitazioni perfino su telefono e posta), dovrebbe­ro trovare le risorse di base per delle mostre, che, se davvero volessero richiamare il grosso pubblico, richiederebbero allestimenti mirati la cui progettazione è nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro? S

i aggiunga il rischio a cui accennavo: l’assuefazione, perché non possiamo stare un anno a frequentare esposizioni – pur interessantissime e diversificate – su come si mangiava nel mondo antico. Alla fine può succede­re che un’iniziativa ideata per avvicina­re la gente ai beni culturali e creare consuetudine con l’archeologia non riesca a uscire dalla grigia tradizione comuni­cazionale che accompagna la maggior parte dei musei italiani.

Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”