Incontro con Bijan Zarmandili La voce della storia

Archeologia Viva n. 110 – marzo/aprile 2005
pp. 88-89

Intervista di Giulia Pruneti

«Democrazia e libertà sono principi universali ma è assurdo pensare che il mondo islamico li raggiunga seguendo tappe europee»

«Dopo la conquista araba lo sciismo è stato il tentativo iraniano di “nazionalizzare” una dottrina imposta dall’esterno»
«Assistiamo a uno spostamento epocale di genti che produrrà una rivoluzione sul piano culturale»
«Zahra interpreta il dramma dell’Iran fra violenze moderniste e oscurantiste»

L’occidente visto da Oriente. La storia millenaria dell’Iran, il suo rapporto con le tradizioni, la religione, le spinte verso la modernità. Di questo e di altro abbiamo parlato con Bijan Zarmandili, autorevole opinionista iraniano, corrispondente della rivista «Limes», da vent’anni giornalista per il gruppo Espresso-La Repubblica sulle tematiche mediorientali. Lo abbiamo incontrato per l’uscita del suo romanzo di esordio La grande casa di Monirrieh (Edizioni Feltrinelli), dove il tragico vissuto di una giovane donna iraniana diviene pretesto per leggere da vicino la storia, le contraddizioni, il destino di un popolo.

D: Nel tentativo di definire l’Occidente siamo soliti far riferimento ad alcune tappe principali del nostro percorso storico: l’eredità dell’antica Grecia, Roma, la nascita del cristianesimo, l’umanesimo, l’illuminismo… Nel caso della civiltà persiana quali sono questi punti di riferimento?

R: Se vogliamo partire dalla definizione di civiltà occidentale, sempre che si possa parlare in termini così categorici quando affrontiamo il concetto di “civiltà”, la società iraniana, pur considerando i conflitti e le contraddizioni che l’attraversano, si colloca tra quelle che vengono considerate le grandi “civiltà alternative”, come anche la Cina o l’India.

Senza dubbio per la civiltà iranica uno dei momenti fondamentali e fondanti è da individuare nel VII sec. d.C., con la conquista araba, a cui segue l’imposizione della religione islamica e l’estinzione di quella zoroastriana praticata per millenni. Occorre tenere ben presente la centralità di tale “svolta”.

D: In che modo l’avvento della religione islamica porta un cambiamento epocale?

R: Dopo che il culto islamico sunnita, già esteso alla maggior parte dei paesi arabi, si diffonde anche nella società iranica, la riscossa nazionale tende invece a identificarsi con l’altra anima dell’Islam, che è quella dello sciismo, nel tentativo di iranizzare una dottrina e una cultura imposte dall’esterno. È un messaggio identitario molto forte in quanto la Persia, pur accettando di fatto l’Islam, gli conferisce un carattere nazionale.

Tutto quello che avviene da questo momento in avanti sarà sempre contrassegnato dalla presenza di una matrice religiosa islamica, ma anche da caratteri marcatamente nazionali-identitari. Non è un caso che in Iran anche la lingua sia diversa da quella parlata dalla maggior parte dei paesi arabi.

L’antica lingua Pahlavi, quella in cui sono redatti anche i testi medievali della tradizione zoroastriana, evolutasi nella Parsi, era una sorta di dialetto originario della regione del Khorasan, nella parte nordorientale dell’Iran, dove, tra VII e VIII secolo, si sprigionò la violenta ribellione che vide la sostituzione del califfato omayyade di Baghdad con quello degli Abbsidi appoggiato da forze in buona parte iraniche. Ecco dunque che anche dal punto di vista linguistico l’attaccamento ai caratteri nazionali viene ribadito fermamente.

Del resto molto simile sarà, alcuni secoli più tardi, l’atteggiamento dell’Iran nei confronti di altri grandi conquistatori: i Mongoli. L’arrivo di questi, nel XIII secolo, travolgerà nuovamente ogni cosa, ma anche in questo caso gli sforzi principali del popolo conquistato saranno mirati a far sì che lo straniero arrivi a riconoscere alcuni pilastri della cultura nazionale persiana. E i Mongoli, sotto alcuni punti di vista, apprendono la scienza, la matematica, la medicina, la grande letteratura persiana…, diventano veri e propri persiani.

I più celebri poeti del tempo, quali Omar Khayyam, Sa’di, Hafez, finiscono per diventare punti di riferimento comuni della cultura persiana e di quella mongola.

D: Iran, Occidente, modernità. Come affronta la società iraniana di oggi le sfide di un mondo sempre più globale?

R: L’Iran proprio per le sue caratteristiche geografiche ha sempre avuto contatti con l’Est e con l’Ovest. I suoi confini hanno rappresentato delle finestre su realtà diverse. Penso al confine con la Russia, attraverso il quale, agli inizi del secolo scorso, l’Iran viene a conoscenza delle lotte operaie, alle quali in alcuni casi non esita a prender parte.

Sono invece i suoi confini orientali che inducono la società iraniana a guardare verso l’India e a conoscere anche gli aspetti più devastanti della dominazione britannica; per non scordare infine i contatti e le conoscenze avvenute grazie alla vicinanza con il Golfo Persico, considerato il punto terminale delle merci, persone e, quindi, culture attraverso l’Oceano Indiano.

Direi che, proprio in virtù di tale apertura geografica, ma soprattutto culturale con “l’altro”, l’Iran comincia a confrontarsi precocemente col tema della modernità. Ed è qui che riaffiora inevitabile l’esigenza di far propria anche questa dimensione.

D: La modernità è un problema che si pone non solo nella società iraniana, ma in tutto il mondo islamico…

R: Pur non facendo mistero dell’esistenza presso alcune realtà del mondo orientale di desideri repressi nei confronti della cultura occidentale, ritengo che non sia affatto “conveniente” cercare di esportare automaticamente determinati modelli. Al contrario, credo che solo comprendendo l’autenticità e la dialettica interna della civiltà islamica sia possibile domandarsi se l’Islam sia o meno compatibile con la modernità, la laicità, la democrazia, la tolleranza religiosa.

Ancora una volta è l’aspetto religioso al centro del dibattito. Il fatto che la religione islamica, a differenza di quella cristiana, non sia una religione riformata comporta moltissime conseguenze sul piano sociale e politico. L’idea della sottomissione dell’uomo al creatore, posta con forza dal culto islamico, risulta ben poco conciliabile con quelle che sono invece le regole di una società civile fondata sulla separazione tra fede e politica.

L’urgenza di una riforma religiosa non a caso si sta ponendo proprio oggi con tutti i suoi aspetti drammatici. Anche in Iran il problema della secolarizzazione è un presupposto indispensabile per poter affrontare dall’interno la questione della modernità. La società civile in questi ultimi anni si è sviluppata in virtù della presa di coscienza di questa forte esigenza. Resta da capire quali possano essere i canali per poterla soddisfare.

D: In molti ritengono democrazia e libertà caratteri esclusivi della cultura occidentale.

Si può non essere d’accordo, ma legittimo rimane l’interrogativo circa la diversa accezione di questi termini nella società islamica.

R: Condivido l’idea che a questi grandi principi venga riconosciuto un valore universale, altrimenti sarà molto difficile che le diverse realtà possano incontrarsi. Ma è necessario capire che questi obiettivi universali, con tutte le specificità culturali e religiose del caso, possono essere raggiunti attraverso tappe che non saranno necessariamente quelle dell’illuminismo, della rivoluzione industriale, di quella francese o americana, oppure del liberalismo occidentale. Libertà e democrazia devono fare i conti con esperienze culturali e umane diverse, ma non per forza contrapposte.

Molte volte mi sono domandato che cosa nasca dall’incontro tra due culture apparentemente così distanti come quella occidentale e quella islamica. La presenza della cultura occidentale nel mondo islamico è un fenomeno antico, recente è invece la migrazione di milioni di persone verso l’Occidente.

Si tratta di uno spostamento epocale di genti che si traduce in nuovo patrimonio di contatti, di conoscenze, di tradizioni, lingue ed esperienze, il cui risultato sarà la nascita di una cultura ibrida, “universale”: qualcosa di assolutamente nuovo che non appartiene più né all’Occidente né all’Oriente e con cui dobbiamo cominciare a confrontarci.

D: Nel suo romanzo, La grande casa di Monirrieh, modernità e tradizione sono temi ricorrenti. Che ruolo hanno nella vita della protagonista?

R: L’intera storia di Zahra, è legata alla sua doppia anima. Divisa tra rispetto per la tradizione e ansia di autonomia, diviene essa stessa paradigma delle contraddizioni attraversate dal suo Paese. Zahra è doppia e ibrida come l’Iran, che guarda alla modernità e all’Occidente, ma che è ancora un Paese fortemente legato alla sua cultura e alle sue tradizioni millenarie. Zahra è donna libera, carnale, spregiudicata, ma anche musulmana devota, capace di gesti estremi come quello di cospargersi il corpo di cherosene e darsi fuoco.

Una ribelle, che consente di ripercorrere con le sue vicende la storia dell’Iran dagli anni Trenta fino al conflitto con l’Iraq. Ma Zahra rappresenta anche il dramma vissuto dall’Iran, esposto e obbligato da quasi un secolo alla modernità e alle sue esigenze. Zahra è una figura femminile universale, mentre ciò che caratterizza e impone un aspetto peculiare alla sua esistenza deriva dalla società in cui vive, che tenta di trovare un giusto equilibrio fra la tradizione e la modernità.