L’Eldorado dei faraoni: cronaca di un film estremo Fra Mar Rosso e Nilo

Tutta la fatica dell’oro di Salomone

Archeologia Viva n. 109 – gennaio/febbraio 2005
pp. 34-46

di Marina Cappabianca e Fratelli Castiglioni

È stato la realizzazione di un sogno questo documentario girato in uno degli ambienti più ostili e meno accessibili del pianeta: il Deserto Orientale del Sudan

per documentare quella lontana e mitica regione dell’oro che tanto contribuì alla ricchezza e all’immagine dei sovrani del Nilo

Coniugare polvere e sabbia con le sofisticate strumentazioni delle telecamere è una vera sfida in una spedizione di due mesi all’interno del Deserto Orientale sudanese insieme ai fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni. Scopo: girare L’Eldorado dei faraoni, un documentario per Mediaset e la rete francese “France 5”, regia di Pippo Cappellano.

La nostra meta sono le antiche miniere d’oro e le rovine di Berenice Pancrisia, nel cuore di una regione così ricca del prezioso metallo da attirare cercatori in ogni tempo: dagli emissari dei faraoni a quelli di califfi e sultani arabi nel Medioevo, fino alle industrie minerarie inglesi del secolo scorso cui toccò constatare come i loro predecessori avessero saputo individuare e sfruttare fino in fondo le vene migliori.

La preparazione di un documentario di questo genere è complessa. Richiede cura nei dettagli. L’Iveco di Torino ha messo a punto tre veicoli specifici: un Eurocargo ML 135 (grosso camion 4×4 adatto al fuoristrada estremo), che trasporterà tutti i viveri, le attrezzature da campo e perfino un parapendio a motore Fly Castelluccio per prospezioni e riprese aeree, e due VM90 versione Torpedo (i Daily 4×4 utilizzati dall’Esercito), uno per l’acqua e gli strumenti di ricerca, l’altro per le attrezzature da ripresa. È importante prevedere i problemi che un simile viaggio comporta.

Partiremo da Port Sudan, sulla costa del Mar Rosso, attraversando verso nord un ambiente di arenaria con sparsi arbusti di acacia; raggiunto l’insediamento di Mohamed Qol ci addentreremo nel cuore del Deserto Orientale solcando fiumi fossili, vasti crateri  dal fondo sabbioso e colline di roccia scura, fino a quell’ampia ansa dello uadi Allaqi dove come in un miraggio ci verranno incontro le rovine di Berenice Pancrisia.

Sulla via del rientro chilometri e chilometri di sabbia gialla e finissima della regione del Butàna e del deserto di Bayuda, fino alle verdi sponde del Nilo e alle superbe vestigia dei faraoni neri. A ogni cambiamento del paesaggio, della vegetazione, dei colori, a ogni possibile incontro con i rari abitanti ci fermiamo a girare immagini: il risultato del lavoro dipende in buona parte dalle energie e dalle capacità che riusciremo a esprimere in quei brevi momenti.

Non contano i disagi di un viaggio che si protrae per settimane, intere giornate sballottati dai mezzi, ogni notte in un campo attrezzato all’imbrunire e smontato alle prime luci, consumando con parsimonia acqua e viveri.

Quando si scende dal camion e si preparano macchina e cavalletto occorre tutta la propria lucidità. È importante allora che le attrezzature da ripresa siano fissate a prova di urto e di polvere (quella sabbia finissima che si infila ovunque…), ma che siano anche ben accessibili: non c’è nulla di più disarmante, quando si è costretti a continue soste per le riprese, che trovarsi a combattere con i bagagli, casse da aprire, involucri isolanti (spesso robusti sacchi della spazzatura…) da rimuovere e poi, in mezzo alla sabbia sollevata dal vento, avvolgere di nuovo la macchina nel domopak per proteggerla. Si rischia di arrendersi alla stanchezza… […]