Edoardo Chiossone e i Beni culturali giapponesi Personaggi

Archeologia Viva n. 108 – novembre/dicembre 2004
pp. 82-84

di Martina Becattini

Nel clima di occidentalizzazione accelerata che contraddistinse il Giappone alla fine dell’Ottocento va a un italiano il merito di aver contribuito in misura incisiva ad evitare la dispersione del patrimonio culturale del Sol Levante

Nei primi anni dell’epoca Meiji (1867-1912) il Giappone conobbe un periodo di grandi trasformazioni, conseguente alla forzata riapertura al mondo occidentale, dopo due secoli di volontario isolamento. L’adozione di nuove tecnologie e dei moderni sistemi amministrativi provenienti dall’Europa e dall’America sembrava un imperativo imprescindibile per il progresso della nazione. In questo clima di sfrenata occidentalizzazione anche la cultura tradizionale giapponese, in particolare identificata con il culto buddhista, fu considerata obsoleta. Molti templi secolari vennero chiusi o addirittura abbattuti e i preziosi tesori in essi conservati, fulgidi esempi dell’antica arte nipponica, furono distrutti o, nel migliore dei casi, finirono sul mercato antiquario destinato agli Occidentali.

Medesima sorte subirono le raccolte dei signori feudali, decaduti nel passaggio dal governo shogunale alla restaurazione imperiale. Dobbiamo riconoscere a un italiano, Edoardo Chiossone (Arenzano 1833 – Tokyo 1898), il merito di essere stato fra i primi ad arginare questa emorragia di opere, fornendo un grande contributo alla documentazione degli antichi tesori nipponici.

Filo diretto fra Genova e il Giappone. Dunque, il genovese Edoardo Chiossone era stato chiamato in Giappone nel 1875 per dirigere la nuova Officina Carte e Valori del Ministero delle Finanze (Okurasho Insastu Kyoku), in qualità di capo della divisione incisoria. […]