Sahara libico: inizio di una fine Un pianeta scomparso

Archeologia Viva n. 108 – novembre/dicembre 2004
pp. 48-61

di Savino di Lernia e Daniela Zampetti

In Libia le pitture e i graffiti sulle rocce del Tadrart Acacus e del Messak Settafet messi a confronto con le ricerche archeologiche e le analisi ambientali ci descrivono gli ultimi diecimila anni del Sahara seguendo l’evoluzione culturale e l’adeguamento dell’uomo alle risorse di una regione che da savana si trasformava in deserto

A un secolo e mezzo dalle prime segnalazioni a opera del viaggiatore tedesco Heinrich Barth (1856) – è sua la scoperta del famoso “Apollo garamantico” dello Uadi Tilizaghen – le incisioni preistoriche del Fezzan sono riconosciute come patrimonio culturale dell’umanità: dal 1985 le montagne del Tadrart Acacus e l’altipiano del Messak Settafet sono inserite nella World Heritage List dell’Unesco. C’è molta Italia nella memoria di queste montagne, poste nell’angolo sudoccidentale della Libia. Fin dall’inizio del XX secolo gli uidian e i tavolati rocciosi sono stati percorsi da viaggiatori, militari, esploratori del nostro Paese. Ma è Paolo Graziosi che, alla fine degli anni Trenta, studia in maniera sistematica i graffiti del Fezzan, fornendone le prime, talvolta audaci, indicazioni interpretative. Anni dopo, nel 1955, un suo allievo, Fabrizio Mori, visita la regione di Ghat esplorando l’interno dell’Acacus e documenta, quasi in parallelo con un altro grandissimo studioso del Sahara, il francese Henri Lhote, le stupefacenti pitture dello Uadi Teshuinat.

Nel cuore del deserto più grande del pianeta troviamo raffigurati elefanti, ippopotami, antilopi, mandrie ed esseri umani. È un’arte di eccezionale delicatezza e fattura, che si articola per aspetti stilistici, procedure tecniche e temi. Nell’ormai lontano 1965 Fabrizio Mori la descrisse nel suo bellissimo Tadrart Acacus. Arte rupestre e culturale del Sahara preistorico, ancora oggi un testo basilare, dove lo studioso toscano ha sistematizzato l’universo perduto di gruppi di raccoglitori, prima, e di pastori, poi. Da allora l’indagine archeologica è cambiata e all’analisi delle sovrapposizioni tra diverse raffigurazioni, allo studio delle patine nei soggetti graffiti o alla ricerca di differenze negli aspetti stilistici si sono aggiunte ricerche territoriali, analisi spaziali delle pareti dipinte, fino ai tentativi di datare le opere sfruttando le parti organi che presenti nel colore (il cosiddetto “legante”) o  le microparticelle intrappolate nella patina che riveste i graffiti stessi. […]