Beni culturali: cosa cambia con il nuovo codice? Archeologia e diritto

Archeologia Viva n. 106 – luglio/agosto 2004
pp. 84-85

di Stefano Benini

In apparenza molto poco rispetto al passato ma in fatto di vendita dei beni culturali e di tutela del paesaggio le novità sono “rivoluzionarie”

… e fonte di preoccupazione per chi crede nella conservazione del patrimonio

Un paio d’anni fa, quando si cominciò a far balenare l’idea di un nuovo Codice dei beni culturali, mi chiesi a cosa potesse servire un’operazione legislativa di tal genere, se è vero che, solo pochi anni prima, nel 1999, si era provveduto a redigere il Testo unico in materia di beni culturali e ambientali.

Va detto che “testo unico” e “codice” costituiscono raccolte tematiche di disposizioni sparse in vari testi legislativi, di cui sia necessario dare riordinamento, razionalizzazione, semplificazione. Quindi sono in pratica la stessa cosa. Che bisogno c’era, allora, di compilare dopo così poco tempo addirittura un codice, in una materia viceversa caratterizzata da assoluto immobilismo legislativo, tanto che la famosa Legge Bottai, del 1939, era rimasta in vigore per sessant’anni?

La necessità di un nuovo intervento, così ravvicinato, poteva attribuirsi a una bizzarra frenesia compilativa, figlia della proliferazione legislativa cui negli ultimi anni gli operatori del diritto hanno ormai fatto l’abitudine.

Qualche spiegazione poteva discendere dall’essere il Testo unico del 1999, peraltro culturalmente in linea con la tradizione conservativa (nel senso della conservazione a oltranza dei beni culturali al patrimonio demaniale) della legge del 1939, il prodotto ideologico della trascorsa XIII legislatura.

Impressione avvalorata dalla constatazione di una mutata concezione di stampo liberistico che, viceversa, nella presente XIV legislatura, informa i rapporti tra amministrazione e cittadino, e che tende ad affidare qualsiasi settore dell’attività umana alla concorrenza, all’iniziativa privata, alle leggi del mercato: non poteva essere risparmiato il settore dei beni culturali.

E allora, se si va a leggere il nuovo Codice voluto dal ministro Giuliano Urbani, emanato con decreto legislativo n. 41 del 22 febbraio 2004 (G.U. suppl. n. 45/84: entrata in vigore 1° maggio 2004), si constata che gran parte delle norme sono la pedissequa riproduzione letterale del Testo unico del 1999, eccezion fatta per un paio di “temi caldi”, quelli della vendita dei beni culturali e della tutela del paesaggio.

A questi due temi il Governo, redattore del Codice su delega del Parlamento, ha dato importanza così pregnante, da non accontentarsi di semplici aggiustamenti al Testo unico vigente, sicché al commentatore non resta che constatare che se queste modifiche hanno raccomandato il varo di un codice, è intorno a questi due temi che si qualifica, oggi, la politica dei beni culturali. […]