Archeologia Viva n. 104 – marzo/aprile 2004
di Piero Pruneti
Chiedo scusa ai lettori se ritorno su un argomento ormai consueto (purtroppo): l’assalto ai beni culturali, al territorio, al paesaggio. Non credo sia una mia ossessione, perché tutte le istituzioni responsabili della ricerca e della tutela e tutte le associazioni di volontariato – a parte qualche mosca bianca che forse trova interesse a tacere – non perdono occasione per tenere l’allarme al massimo livello.
Dopo l’approvazione alla Camera di un emendamento alla legge sull’ambiente, che depenalizza tutti i reati contro il paesaggio, una delle ultime drammatiche denunce arriva dal Fai (Fondo per l’Ambiente Italiano) che tempo fa su diversi giornali ha pubblicato, a spese dei propri associati, un appello per la difesa del patrimonio italiano, fatto come sappiamo di una inscindibile compenetrazione di valori archeologici, storici, artistici e ambientali.
L’appello del Fai richiama ancora una volta l’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Volete parole e obiettivi più chiari per chi ci governa?
Ci tocca vedere invece università e soprintendenze ridotte all’elemosina, umiliate, beni culturali in vendita, un condono salvatutto: dalle mansarde alzate sui tetti dei centri storici alle costruzioni su suoli demaniali. Il prevalere netto degli interessi economici sui valori della cultura.
Una documentazione circostanziata di scempi è contenuta nel libro di Francesco Erbani, L’Italia maltrattata, edito da Laterza, che vi consiglio di leggere. Ci troverete un paese costantemente offeso, dove protagonista è il cemento, quello degli abusi (periodicamente sanabili, quindi rinnovabili) e anche quello delle amministrazioni che sperperano il territorio, aprendo strade, consentendo interventi edilizi nelle residue aree ad alto pregio paesaggistico: un drammatico esempio è offerto dal teatro di Segesta sulle cui quinte naturali sono sorte due grosse costruzioni (vedi a p. 10).
E qui si consolida un’altra questione: quella degli alti rischi che l’ambiente corre quando la tutela è demandata agli enti locali, esposti più dello Stato al ricatto elettorale (c’è della demagogia nel decentramento a prescindere). Si sta smarrendo l’idea che i beni storico-ambientali, per loro natura irriproducibili, non appartengono solo ai singoli o alle comunità, ma a tutta la nazione, se non all’intero pianeta.
Piero Pruneti
direttore di “Archeologia Viva”