Una lente sulle impronte antiche al Museo Egizio di Torino Scienze per l'archeologia

impronte antiche al Museo Egizio di Torino

Archeologia Viva n. 103 – gennaio/febbraio 2004
pp. 74-77

di Matilde Borla e Andrea Giuliano

Al Museo Egizio di Torino si è verificato un connubio inconsueto

Egittologi e polizia scientifica hanno lavorato fianco a fianco su un gruppo di ushabti per ricostruire il procedimento dell’artigiano che li ha realizzati

Grazie al continuo progresso tecnologico assistiamo all’incontro sempre più frequente tra discipline che fino a pochi anni or sono potevano sembrare prive di punti di contatto. Il caso si è verificato al Museo Egizio di Torino, dove gli esperti della Polizia scientifica hanno collaborato con gli egittologi allo lo studio di alcuni ushabti in terracotta che recano impresse impronte digitali antiche.

Alle ricerche che possiamo definire classiche o tradizionali, come lo studio e la pubblicazione dei papiri, sono state affiancate indagini inconsuete, di tipo “poliziesco”, certo non indirizzate all’identificazione di un presunto criminale. Non è la prima volta che si individuano impronte digitali su manufatti antichi. Nella maggior parte dei casi i dermatoglifi sono stati ritrovati su reperti in terracotta manipolati quando l’argilla era ancora umida, per cui vi è rimasta un’impronta “per impressione”.

Quando il manufatto si è asciugato la traccia si è fissata, diventando un elemento integrante della documentazione, come una involontaria firma dell’anonimo artigiano. Cosa ci aspettiamo dallo studio di un’impronta antica? Precisiamo subito che non è realistico pensare di identificare, attraverso le impronte lasciate su un manufatto, la persona che lo ha manipolato, soprattutto perché le impronte antiche sono rare e molto frammentarie. In campo archeologico la posizione dell’impronta può invece fornire preziose indicazioni relativamente alla tecnica di manifattura, evidenziando, ad esempio, la sequenzialità delle fasi produttive. In altre circostanze permette d’identificare se un lotto di oggetti sia stato prodotto da uno o più artigiani.

Statuette per un sacerdote di Amon

L’indagine dattiloscopica realizzata al Museo Egizio di Torino è stata condotta su un lotto di 358 ushabti in terracotta rinvenuti nel 1909 da Ernesto Schiaparelli nella necropoli tebana di Deir el-Medina. Grazie all’iscrizione dipinta in geroglifico sulle statuine sappiamo che queste furono realizzate per un membro del clero tebano di Amon di nome Nespayherhat. Purtroppo gli scavi non hanno riportato in luce altri oggetti appartenuti al personaggio, ma in base a criteri tipologici e stilistici il gruppo di ushabti è stato datato alla XXI-XXII dinastia (grosso modo fra XI e VIII sec. a.C.), nella prima fase del III Periodo Intermedio. Durante lo studio e la catalogazione è stato notato che alcune statuine recavano impresse sul dorso delle impronte digitali. Vediamo ora come si svolgono le indagini che hanno portato alla loro identificazione.

Comunemente, sulla “scena del crimine” gli esperti della Scientifica raccolgono le impronte e le confrontano con quelle note disponibili negli archivi, cercando così di identificare l’individuo che le ha lasciate. In ambito archeologico si procede in modo diverso poiché, purtroppo, non disponiamo di un archivio di confronto. Relativamente agli ushabti del Museo Egizio di Torino, le prime valutazioni sono state effettuate mediante l’osservazione diretta dei manufatti con l’utilizzo di lenti d’ingrandimento per criminalistica. Dopo aver selezionato gli ushabti che recano le tracce meglio conservate, i singoli reperti sono stati fotografati e sono state eseguite riprese macro a luce radente dei particolari (per lo studio delle impronte presenti sul reperto che porta il numero d’inventario S.10213 si è proceduto anche alla realizzazione di un calco).

In seguito, gli ingrandimenti sono stati acquisiti dallo specialista della Scientifica che li ha elaborati con particolari software per la gestione computerizzata delle immagini, agendo soprattutto nei contrasti delle tonalità e nelle selezioni dei livelli policromatici. Questo procedimento consente di evidenziare le caratteristiche dell’impronta, di classificarla in base ai parametri di riferimento e quindi di identificare a quale dito sia appartenuta. Vediamo, in dettaglio, come si è proceduto all’identificazione delle impronte prendendo, ad esempio, due dei reperti studiati. […]